CONFIDA LE SUE PENE ALLA BEATA VERGINE
SONETTO SBOLENFIO
O pia Maria, ve’ della mia terribile
Pena terrena la catena ignobile!
Vien manco il fianco stanco ed è impossibile
Ch’io resti a questi mal molesti immobile!
Dura sciagura, arsura inestinguibile,
Ricetto eletto han nel mio petto e, mobile
La mente, sente un serpente invisibile
Che ha vinto, estinto, in lei l’istinto nobile!
O Bella Stella, o Verginella amabile,
Ascolta, volta a me stolta e volubile,
La preghiera sincera e vera e stabile.
Odo che un nodo sodo e indissolubile
Fa fiorita ogni vita attrita e labile....
Mia pia Maria, fa ch’io non sia più nubile!!
IN BICICLETTA
Giammai, scoccata da una man feroce
Dall’arco teso non fuggì saetta
Come sul suo sentier corre
veloce
La bicicletta.
La bicicletta.
Volan le rote e mentre sulla via
Nessun rumor presso di lei si
sente,
Qualche imbecille al corridore
invia
Un accidente.
Un accidente.
A me che importa se della canaglia
M’insegue il riso o il mormorar
d’alcuni,
Se l’iniqua parola altri mi
scaglia
O il molla Buni?
O il molla Buni?
Io corro, io volo sulla bicicletta,
Questo ideal della cavalcature:
Chi soffre d’emorroidi o di bolletta,
M’insulti
pure.
Ch’io son beata e un fremito m’assale,
Mi avvolge un’onda di piacer sovrano,
Quando vengo stringendo il trionfale
Manubrio in mano.
Io son beata allor che fra le gambe
Sento il rigido ordigno e in quegli istanti
Tendo le coscie e l’agitar d’entrambe
Lo spinge avanti.
“Molla Buni!” fu nel 1894, all’Arena di Milano, il grido del pubblico,
stupefatto perché il ciclista Romolo Buni, “il piccolo diavolo nero”, rimasto
solo in pista dopo il ritiro degli avversari (i francesi Médinger e
Cassignard), non smetteva di pedalare forsennatamente per battere il record di
velocità, anziché prendersela comoda. Divenne un modo di dire per spronare i
pigri e calmare i troppo zelanti.
FAVOLETTE MORALI
VIII.
Un tonno innamorato
Lesse i Promessi Sposi
E tutto riscaldato
Da sensi religiosi,
Andò pianin pianino
A farsi cappuccino.
Morale
Fai bene se t’astieni
Dal legger libri osceni.
POBRE CARLOS (*)
¿Habla: se pueda ser mas
desdichada?
Quiereba
Carlos el toreadores,
Ma un toro
viense in la plaza mayores
Y per matarlos
al sfrodò la espada.
El toro escapò vias por la
contrada
¡Mo Carlos,
dietros, fagando romores!
Cuando el toro
¡ahi de mi, caros señores!
Per de dietros
ce apogia una cornada.
Carlos cascò cridando ¡ahi, porco
mundo!
Viense il
medico y hablò: ¡mo bozaradas,
El corno ha
penetrado ensino al fundo!
¡Parece un nido carico de
vrespas;
Las pobras chiapas miranse sfondadas,
Todo està roto
y buena noche crespas!
(*) Lo Spagnuolo non beve...
certo l’onda del Manzanares.
(Poesie tratte da: Aria Sbolenfi, Rime, 1897)
«GRILLÒ ABBRAGIATO.
- La volaglia spennata si abbrustia, non si sboglienta, ma la longia di bue
piccata di trifola cesellata e di giambone, si ruola a forma di valigia in una
braciera con butirro. Umiditela soventemente con grassa e sgorgate e
imbianchite due animelle e fatene una farcia da chenelle grosse un turacciolo,
da bordare la longia. Cotta che sia, giusta di sale, verniciatela con salsa di
tomatiche ridotta spessa da velare e fate per guarnitura una macedonia di
mellonetti e zuccotti e servite in terrina ben caldo».
(Lettera a Pellegrino Artusi, citata in La Scienza in cucina e
l'Arte di mangiar bene)
OLINDO GUERRINI
(Forlì, 4 ottobre
1845 – Bologna, 21 ottobre 1916)
Ecco
come andò la cosa.
Nell’inverno
del 1868 io davo ad intendere alla mia famiglia di studiar legge; anzi, per
confermarla vie più nell'errore, alla fine di quell'anno mi laureai.
(Parentesi.
Mi ricordo che ci chiusero nell’Aula Magna dell'Università. Eravamo otto o
dieci candidati, e, allegri come quelli non se ne trovano più. Venne il
professore di Diritto Canonico, munito di una borsa gigantesca che conteneva la
bellezza di sessanta palle. Ognuno di noi immerse la mano nel venerando borsone
ed estrasse una palla sola, il cui numero corrispondeva a quello di una tesi da
svolgere in iscritto. A me toccò una tesi laconica: Del Comune; una tesi che
non conoscevo nemmeno di saluto. Il professore se ne andò e noi ordinammo la
colazione. Pensammo che il vino (era buono!) dovesse rischiararci le idee, e ne
bevemmo.... si sa.... ne bevemmo.... con molto piacere. Mi ricordo anche, un
po’ confusamente, di aver ballato con molta energia, insieme ai colleghi,
intorno ad un mappamondo in mezzo all’aula, e di aver riscossi unanimi applausi
per l’esecuzione brillante dell’esercizio ginnastico detto l’albero forcuto.
Sul tardi ci decidemmo a lavorare, ed io comunicai i miei bollenti spiriti
all’opera della mia sapienza giuridica. Cominciai coprendo di vituperi il
cranio di papa Clemente VII perchè distrusse la repubblica fiorentina, e finii
rimproverando il ministro Menabrea perchè dopo Mentana non era andato a Roma.
Domando io che cosa c’entrava questa borra in una tesi di diritto
amministrativo? E tra il principio e la fine, era una tempesta di punti
ammirativi, di apostrofi, di sarcasmi, d’esclamazioni; c’erano dentro tutte le
più calde figure rettoriche possibili. Era insomma una tesi un poco brilla.
Cinque
o sei giorni dopo, la mattina a digiuno, coll’abito a coda di rondine e la
cravatta bianca, dovetti recarmi all'Università per leggere e sostenere
pubblicamente la tesi davanti alla Facoltà ed agli ascoltatori. Lessi, ma in
parola d’onore, avrei preferito di non leggere. Mi vergognavo. Tutto quel
lirismo bacchico recitato a bassa voce da un giovine a digiuno, in soggezione e
colla voce spaurita, doveva fare un bell’effetto! Alle interrogazioni dei
professori m’impaperai, dissi degli spropositi cavallini, feci una figura
nefanda, e forse mossa da un delicato senso di compassione, la Facoltà
mi approvò a pieni voti. Vorrei esprimere la mia gratitudine ai benefattori, ma
credo che sia tempo di chiudere la parentesi). (Brani di vita, 1908)
Poteva
un tipo del genere fare l’avvocato? No, e infatti Olindo Guerrini fu poeta e
giornalista e, per garantirsi la sicurezza economica, impiegato presso la Biblioteca
Universitaria di Bologna, di cui divenne in seguito direttore.
Aveva
ambizioni letterarie, il Guerrini, ma era una persona di buon senso: era
materialista, ma irrideva gli eccessi del positivismo lombrosiano; era
socialista, ma conduceva una vita da buon borghese.
Anticlericale,
non sopportava i poeti cattolici: L’eterno Iddio del Manzoni era l’oggetto
del mio odio accanito; e tutto quel cristianesimo nè carne nè pesce degli
scrittori che adorano San Pietro e vituperano il suo successore, mi dava delle
ore di bile iraconda. Il mio vangelo filosofico era la Filosofia della
rivoluzione del povero e grande Ferrari; e in questo forse ho cambiato poco.
Potete dunque immaginare il gusto che mi dettero poi le lodi prodigate
all’abate Zanella! (Brani di vita, 1908).
Ma
non amava nemmeno le novità della poesia simbolista: E come sono noiose le sciarade
del simbolismo! Pensare che ci sono dei superuomini che invidiano gli allori di
Oscar Wilde; pensare che tutto questo è un regresso, un ritorno al Medio Evo,
proprio quando sta per cominciare il secolo ventesimo! Ma dunque sarà proprio
vero che l’intero genere umano sia malato di nervi, poichè in tutti questi
libri non si trovano che squilibrati e mattoidi? Non ci sono più donne sane in
terra che da ogni pagina vaporano le aure dell’isterismo? È possibile che non
si trovi più un cuore buono, un cervello equilibrato, un utero normale?
L’epilessia e l’allucinazione sono dunque la regola e la sanità l’eccezione?
Se i disturbi dell’innervazione
sono così generali, come sembra a questa letteratura psicopatica, non sarebbe
egli più utile raccomandare ai sofferenti, non la morfina, ma le docciature e
la bicicletta? Se l’esaurimento nervoso è il male che affligge la presenti
generazioni, non sarebbe meglio leggere l'Ariosto all’aria aperta, piuttosto
che inghiottire l’Ibsen nell’afa del teatro? Ma no; l’Ariosto non è più di moda
e l’aria aperta sciupa il candore della pelle clorotica; e così sia! (Prefazione di Lorenzo Stecchetti alle Rime di Argia
Sbolenfi)
Difficile fare il poeta maledetto,
quando si preferisce la bicicletta alla morfina (Guerrini era un appassionato
di ciclismo)!
Nascondeva
la sua timidezza assumendo una doppia personalità; l’amico Corrado Ricci lo ricorda così: […] non usciva mai di sera
[…] e se ne rimaneva in casa a leggere e a studiare, impacciato davanti a tutte
le donne e fuggitivo dinanzi a quelle che gli dimostravano una provocante
simpatia […]. Era un uomo soggetto a un singolarissimo sdoppiamento, un uomo a
due
anime: l’una
sensata e mite, l’altra sprezzante di ogni riguardo […]. Sembrava quasi che
volesse nascondere ciò che egli era in effetti, che temesse da certi suoi amici
spregiudicati l’accusa di timido e di casto e cercasse di difendersene col
mostrarsi impronto e dissoluto. Vi sono ipocriti della castità, egli era un
ipocrita della corruzione; voleva parere un audace, un ghermitore
di donne, un
libertino, mentre di fronte ad esse non era che un pavido… Di questa finzione
si compiaceva anche perché alimentava la sua passione romagnola e bolognese
delle burle.
Ma
soprattutto, come abbiamo visto, Guerrini aveva il senso dell’umorismo, il che
implica una presa di distanza dall’oggetto della propria scrittura.
Come procedere
allora? Creandosi delle identità alternative, diverse e in contraddizione l’una
dall’altra, sperimentando per procura umori propri e altrui, spaziando dal
patetico e drammatico all’umoristico e non di rado triviale. Lo scrittore e il
bibliotecario si uniscono, creando una biblioteca personale di autori
immaginari. C’è chi ambisce a essere unico; Guerrini no: voleva essere tanti.
Nascono così:
– Lorenzo Stecchetti, fantomatico poeta cugino del Guerrini – che
finge di curarne il manoscritto pubblicato postumo – morto di tisi all’età di
trent’anni (l’avrà letto Gozzano?)
e
– Argia Sbolenfi, cuoca bolognese dagli appetiti sessuali robusti ed
espliciti, sempre frustrati e inappagati, le cui Rime sono precedute
dalla prefazione di un riluttante Lorenzo Stecchetti (per cui il cambio di
identità risulta doppio!)
e una serie di identità minori:
– Marco Balossardi, Pulinera,
Mercutio, Odino Linguerri, Giovanni Dareni.
Per
avere un’idea della varietà di registri, ecco due poesie del Nostro,
magistralmente dette da Paolo Poli (cliccare sui titoli):
Lorenzo
Secchetti, Il canto dell’odio;
Argia
Sbolenfi, A un vaso
nuovo di porcellana Ginori (Poli recita una versione ridotta e
leggermente diversa da quella delle Rime, intitolandola Ode al pitale).
Ma passiamo all’analisi delle Rime
sbolenfiane.
La polemica antimanzoniana e anticlericale fa
capolino anche qui (Favoletta morale VIII), mentre la passione per la
bicicletta diventa l’occasione per una poesia piena di doppi sensi triviali (In
bicicletta).
Insieme con
le sgrammaticature (oltre a non essere attraente, Argia è anche ignorante,
soprattutto all’inizio), non manca la ricerca di soluzioni sperimentali (da un
componimento in spagnolo maccheronico a un tipo di sonetto, definito sbolenfio,
che consiste soprattutto nell'impiego di parole e rime sdrucciole). (Giuseppe
Zaccaria, voce su Olindo Guerrini del Dizionario Biografico degli Italiani,
Treccani editore.)
Guerrini
scrisse in italiano, veneto, romagnolo: la passione per la sperimentazione
linguistica trova qui un esito umoristico in Pobre Carlos, dove il
divertimento non sta tanto nella vicenda – banale – raccontata, quanto
nell’invenzione di un esilarante spagnolo maccheronico. Un altro esempio di
questa passione è il Grillò abbragiato: ricevuta in omaggio una copia de
La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, manda all’amico Artusi una
lettera in cui loda l’opera come la migliore, la più pratica, e la più bella
e si prende gioco dei barbarismi di manuali come quello del Vialardi che fa
testo in Piemonte, facendone una cernita e concentrandoli in questa ricetta
immaginaria.
Ma le poesie
tecnicamente più impegnative sono i 6 sonetti cosiddetti “sbolenfi”, dei quali
qui si riporta Confida le sue pene alla beata vergine. Giuseppe Zaccaria
sembra non rendersi conto che in realtà si tratta di “leporeambi”, un tipo di sonetto dalla struttura
particolarmente complessa e cogente, creata da Ludovico Leporeo nel XVII secolo. (In realtà non
sembra essersene accorto nessuno: possibile che io sia il primo?) Come in
Leporeo troviamo:
– rime – assonanti,
– preferibilmente sdrucciole:
-ibile, -obile, -ubile, -abile,
– anche se, contrariamente a Leporeo,
non sono poste in ordine alfabetico;
– versi con rime interne (in questo caso 3):
O pia Maria, ve’ della mia terribile.
E il bibliotecario Guerrini conosceva senz’altro Leporeo,
perché i libri antichi li studiava: pubblicò, per esempio, il primo
studio serio su Giulio Cesare Croce.
Li studiava e, almeno in un caso, li annotava: una volta
un suo dipendente, Alberto Bacchi della Lega, aveva lasciato
momentaneamente il manuale di ornitologia del Savi aperto sulla
pagina dedicata al Passer Italiae; quando tornò trovò questa
nota a margine, scritta dal Guerrini:
Deh, l’ornitologo
come un corbello
scambia la passera
per un uccello.
come un corbello
scambia la passera
per un uccello.
NOTE
La citazione di Corrado Ricci si
trova in
P. Pancrazi, Stecchetti
uomo strano, in Ragguagli di Parnaso, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1967,
pp. 537-543,
riportata nella tesi di laurea (che consiglio
di leggere) di
Valentina
Forlivesi, Folklore e
dialetto in Olindo Guerrini, Giovanni Pascoli, Tonino Guerra e Libero Riceputi, Università degli Studi di Bologna.
L’aneddoto “ornitologico” è
riportato, col n. 59, in
Giuseppe Fumagalli, Aneddoti bibliografici, Milano, Bietti, 1933.
LETTURE CONSIGLIATE
Versione
digitale delle poesie di Argia Sbolenfi, di Lorenzo Stecchetti, dei sonetti
romagnoli, dei Brani di vita.
Un commento umoristico
sull’unificazione linguistica italiana, partendo dal Grillò abbragiato
per passare all’analisi della lingua di Pellegrino Artusi, si trova nel mio
Sebastiano
Zanetello, Zuppa
romana – Non temare di provare culinare – (as)saggi umoristico-gastronomici,
Firenze, Mauro Pagliai editore, 2012.
SITI INTERNET
Voce su Olindo
Guerrini, a cura di Giuseppe Zaccaria, del Dizionario Biografico
degli Italiani, Treccani editore.
Voce
su Olindo Guerrini.
Articolo di Giovanna Tagliati su
Olindo Guerrini
gastronomo, ciclista e poeta in romagnolo.
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