domenica 29 luglio 2012

GIANNI RODARI per adulti, ovvero LEPIDE LAPIDI


Lapide seconda
 
A QUESTA PORTA
IN SEGUITO
A INFORMAZIONE INESATTA
BUSSÒ NEL QUATTORDICI
IL RAGIONIER FEDERICO GIOBATTA
DA PORTOFINO
DIMANDANDO DI GIACOMINO
SOLERTE E SEVERA
RISPONDEVAGLI PORTIERA
NESSUN GIACOMINO QUI RISIEDE
NÉ MAI RISIEDETTE
NÈ MAI RISIEDERÀ
RAGIONÒ IL RAGIONIERE
NON SI PUÒ MAI SAPERE
CHI VIVRÀ VEDRÀ
 
(Da: Poesia lepidaria in Il caffè politico e letterario, anno IX, n.3, giugno 1961; le “lapidi”, nonostante la numerazione, sono solo 4: Lapide seconda, Lapide tredicesima, Lapide quattordicesima, Lapide quindicesima.)
 
4
 
RUDE TENACE REDDITIZIO VITALIZIO
ATLETA
TEODOLINDO DE PAOLIS
A CONCLUSIONE DI SEVERISSIMA DIETA
IL X-X-MMMCCCXXXVVVIIIMMMCCCIII
SALTAVA DICIASSETTE TASTI E TREDICI TESTI
IN PRESENZA DI SPETTATORI
135458,65
DE’ QUALI 712½ COMMENDATORI
ASSISTEVANO S.E. IL MINISTRO DI BLAGOVIA
S.E. L’AMBASCIATORE DI SANTA SEGOVIA
IL CONSOLE STRAORDINARIO
DI SANTA PRASSEDE
E I MASSIMI PRINCIPI DEL FORO BOARIO
L’INCASSO
FU DI LIRE 38718951
DI CUI 457875 FALSE
TEMPO PIOVOSO CON TENDENZA A CAMPOBASSO


5

IN QUESTO ESATTO PUNTO
DELLO STORICO CORSO VITTORIO
IL 13 MARZO 1958 ALLE 15,27 ORA DI GREENWICH
SOFFIANDO VENTO DI TRAMONTANA
I CONIUGI CIBORIO
DOTTOR GIAMPAOLO E RENATA NATA RETANA
SEPARAVANSI
DIRIGENDOSI IL MARITO
VERSO IL DISTRETTUAL UFFICIO DE LE IMPOSTE
LA MOGLIE VERSO L’ABITAZIONE
DELL’AMANTE TEODORO DOTTOR INGEGNER SERAPIONE
QUATTRO ORE PIÙ TARDI
SU QUESTE PIETRE MEDESIME
TORNAVA A INCONTRARSI LA COPPIA
RICOMPONENDO LA FAMIGLIA
L’UNITÀ
PRESIDIO DI SOCIALE PROGRESSO
E DI CIVICHE LIBERTÀ
ARRA DI BANCARIO PRESTIGIO
BALUARDO DELLA PRODUZIONE
DI FRIGORIFERI LAVATRICI FERRI DA STIRO DETERSIVI
LAVATIVI
DEL CHE MARMOREO RICORDO
LA MUNICIPALITÀ DECRETAVA
SU PROPOSTA DEL CONSIGLIERE BAVA


6

ZENAIDA ZENOBIA DEI CONTI DI SAN ZENONE
DA QUESTO VERONE
IN SUL TRAMONTO DEL 7 MAGGIO
1910,35
ASSISTENDO AL PUBBLICO PASSEGGIO
RIVOLTA ALLA ZIA
CHE TENEALE AFFETTUOSAMENTE COMPAGNIA
MI PIACE ESCLAMAVA IL CONTE DI CORCONTENTO
AMMIRA DI GRAZIA IL SUO
GLORIOSO PORTAMENTO
IL CONTE HA BUON CONTO HA GRANDE APPARTAMENTO
HA CANI CUOCHI COCCHI COCCHIERI UOVA À LA COCQUE
CHE DEGG’IO FAR CHE MI CONSIGLI O ZIA
UN CANE ABBAIANDO
AI POSTERI FURAVA
LA RISPOSTA
IL CONTE RITIRAVASI NEL CONTADO
E MESTA TRASCORREVA
L’ESISTENZA
PASSANDO I RIVI A GUADO

(Da: Otto lapidi in Il caffè politico e letterario, anno X, n.2, aprile 1962) 

 

 

GIANNI RODARI
(Omegna, Verbano Cusio Ossola, 23 ottobre 1920 – Roma, 14 aprile 1980)


Gianni Rodari a luci rosse? No, non preoccupatevi (anche se a dire il vero Rodari rosso lo era, essendo iscritto al P.C.I.). Gianni Rodari è l’autore per bambini per antonomasia, non c’è alcun dubbio; ma esiste una sua produzione letteraria rivolta a un pubblico adulto: una produzione limitata, ma interessante. Un esempio sono le Lapidi, pubblicate tra il 1961 e il 1962 dal Il caffè politico e letterario, dove fa la parodia del genere letterario lapidario.

L’azione parodica di Rodari si sviluppa su due livelli, fra loro complementari:
a – contenuto;
b – linguaggio.
a – A livello di contenuto il procedimento è quello dell’abbassamento:
– alla rievocazione di eventi storici
si sostituisce
la cronaca spicciola di un fatto insignificante (Lapide seconda);
– alla celebrazione delle pubbliche virtù
si oppone
il resoconto dei vizi privati (lapide 5).
b – A livello di linguaggio il procedimento è quello del rovesciamento:
– alla seriosità impettita
            si sostituisce
la giocosità dei giochi verbali e delle capriole linguistiche:
                                   – uso dell’assonanza
                                               – nei nomi
RENATA NATA RETANA,
                                                 ZENAIDA ZENOBIA DEI CONTI DI SAN
                                                 ZENONE,
CONTE DI CORCONTENTO;
       – negli elenchi, basati non sull’affinità 
       di significato, ma su quella del suono:
SALTAVA DICIASSETTE TASTI E TREDICI TESTI,
HA CANI CUOCHI COCCHI COCCHIERI UOVA À LA COCQUE;
                                   – accostamenti incongrui:
DETERSIVI che, accostato a LAVATIVI, trasforma scherzosamente questi ultimi da “menefreghisti” a “prodotti per l’igiene”, analogamente ai primi;
                                   – parodia di vezzi impiegatizi e burocratici:
                               TEODORO DOTTOR INGEGNER SERAPIONE
                                        (anziché ing. Teodoro Serapione);
                                   – doppi sensi:
L’UNITÀ, PRESIDIO DI SOCIALE PROGRESSO E DI CIVICHE LIBERTÀ è un’allusione scherzosa al quotidiano del Partito Comunista Italiano, del quale Rodari era stato collaboratore,
IL MINISTRO DI BLAGOVIA, immaginario regno da operetta, potrebbe alludere a blague (pron. blag) = scherzo, facezia, frottola, barzelletta, sproposito,
I MASSIMI PRINCIPI DEL FORO BOARIO è una pernacchia nei confronti del sussiego delle autorità;
– la precisione delle date e dei dati viene
            portata all’eccesso:
                        IL 13 MARZO 1958 ALLE 15,27 ORA DI GREENWICH,
                        fino all’assurdo:
             SPETTATORI 135458,65 DE’ QUALI 712½ COMMENDATORI;
            o vanificata:
                        IL X-X-MMMCCCXXXVVVIIIMMMCCCIII.
Ma non tutti i dati, forse, sono così assurdi come potrebbe sembrare. Prendiamo IN SUL TRAMONTO DEL 7 MAGGIO 1910,35: così, di primo acchito, questo anno coi decimali fa ridere, no? Ma proviamo a fare un po’ di calcoli: 365 giorni x 35/100 di anno = 127,75 giorni = 127 giorni e ¾. Bene: il 127mo giorno dell’anno è proprio il 7 maggio! Passato l’entusiasmo dobbiamo però constatare che vanno aggiunti ¾ di giorno, cioè 18 ore: siamo perciò nel 128mo giorno (verso il tramonto, comunque) del 1911. Si tratta dunque di elucubrazioni mie, oppure questi calcoli li ha fatti anche Rodari, facendo un piccolo errore?

Ma, come quasi sempre in Rodari, il divertissement non è fine a se stesso:
            Per me, sono uno che matura terribilmente piano (e che scrive male, ma per fortuna lo sa): il mio libro bello lo potrò scrivere solo a cinquanta suonati, se li sentirò suonare, altrimenti il mondo non avrà perso molto. Dovrebbe essere un libro molto divertente, i viaggiatori di commercio dovrebbero commentarlo così: «quello lì, chissà indove va a tirarle fuori certe stupidate, però fa ridere, neh?» E intanto dovrebbe insinuarsi nel loro cuore innocente e senza sospetto il veleno per i topi, e un giorno si suiciderebbero senza sapere perché.
(Gianni Rodari, Lettere a Don Julio Einaudi, Hidalgo editorial e ad altri queridos amigos, lettera ad Arpino, Roma 8-8-68).
La parodia delle lapidi infatti sottende
– una critica al pensiero dominante e omologato:
«Creatività» è sinonimo di «pensiero divergente», cioè capace di rompere continuamente gli schemi dell’esperienza. È «creativa» una mente sempre al lavoro, sempre a far domande, a scoprire problemi dove gli altri trovano risposte soddisfacenti, a suo agio nelle situazioni fluide nelle quali gli altri fiutano solo pericoli, capace di giudizi autonomi e indipendenti (anche dal padre, dal professore e dalla società), che rifiuta il codificato che rimanipola oggetti e concetti senza lasciarsi inibire da conformismi. Tutte queste qualità si manifestano nel pensiero creativo. E questo processo – udite! udite! – ha un carattere giocoso: sempre: anche se sono in ballo le «matematiche severe»... [...] (Gianni Rodari, Grammatica della fantasia, cap. 44. Immaginazione, creatività, scuola, pagg. 171-172, Torino, Giulio Einaudi, 1973 e 2001)
(È il pensiero divergente che affiora – nella Lapide seconda – con la risposta inaspettata del ragioniere – che giustamente ragiona – alla portiera.)
– e un atteggiamento autenticamente democratico, in cui tutti sono valorizzati:
Matteo: Noi pensiamo che il 1920, l’anno in cui sei nato, sia stato fortunato. Sono nati molti personaggi importanti: il Papa Wojtyla, il presidente della Fiat Gianni Agnelli…
Rodari: Sta’ attento, non ci sono personaggi più importanti e altri meno. Il Papa occupa una grande posizione per la chiesa e il mondo, ma ogni persona è importante per sé stessa: la tua maestra, la tua nonna… Gianni Agnelli è più ricco di me, non più importante. Io ho scritto più di quindici libri e lui neanche uno. Io non ricordo niente del 1920 perché ero appena nato e non so niente dell’anno millenovecento e un po’ che è l’anno in cui morirò.
(Incontro di Gianni Rodari con le classi quarte della Scuola Elementare a Tempo Pieno di Borgo Solestà, 28 febbraio 1979, in Luciano Marucci & Anna Maria Novelli (a cura di), RODARE LA FANTASIA con Rodari ad Ascoli)

La mia lapide per Rodari
Il 10 aprile 1980 Rodari viene ricoverato in clinica: deve essere operato per l’occlusione di un’arteria della gamba sinistra; non è tranquillo e, per esorcizzare la paura, ci scherza sopra:
Caro Carena,
oggi ho accompagnato mia moglie in clinica per un’operazione – quando uscirà lei dovrò entrarci io, per colpa di un’arteria occlusa – vede che non ho lo spirito adatto per rifare la prefazione alle «Favole al telefono».
            La programmerò per l’edizione tredicesima, anche se doveste interrogarmi con i tavolini.
            [...]
            Altro di me non ti saprei narrare
            e la flebografia mi vado a fare.
(Gianni Rodari, Lettere a Don Julio Einaudi, Hidalgo editorial e ad altri queridos amigos, 8-1-80)
Ma l’intervento dura più del previsto (7 ore, anziché le 4 preventivate) perché viene scoperto, racconta il suo amico e biografo Marcello Argilli, un grosso aneurisma nella zona iliaca, che per la sua collocazione l’ortografia non poteva rilevare. Argilli scrive proprio così, “ortografia” invece di “aortografia”: e così Rodari, poeta degli errori (aveva scritto il bellissimo Libro degli errori), sarà vittima di un errore di ortografia; il suo fisico, già debilitato, non regge: muore il 14 aprile, per collasso cardiaco. Non aveva ancora compiuto 60 anni: il poeta dei bambini non è mai diventato vecchio.


A GIANNI RODARI

Dice la tua biografia:
fu un error d’ortografia
che non vide l’aneurisma
che vietò ulteriore rima.
Tu, poeta degli errori,
te ne sei uscito fuori,
te ne sei andato via,
colpa dell’ortografia!
Tu, poeta dei bambini,
resti lì, fra i cherubini,
a dir “Buonanotte al secchio,
non diventerò mai vecchio!”


LETTURE CONSIGLIATE

Gianni Rodari, Il cavallo saggio – Poesie epigrafi esercizi, Torino, Einaudi, 2011.
Contiene la produzione “per adulti” di Rodari, comprese tutte la “lapidi”.
Gianni Rodari, (a cura di Stefano Bartezzaghi) Lettere a Don Julio Einaudi, Hidalgo editorial e ad altri queridos amigos, Torino, Einaudi, 2008.
        Delizioso: non perdetevelo. Devo a Bartezzaghi il rilievo
        sull’errore di “ortografia”.
Luciano Marucci & Anna Maria Novelli (a cura di), RODARE LA FANTASIA con Rodari ad Ascoli, Acquaviva Picena, Provincia di Ascoli Piceno, 2000.
Testo prezioso, perché contiene le trascrizioni delle registrazioni degli incontri di Rodari con i bambini delle scuole elementari.


SITI INTERNET

            Siti dedicati a Gianni Rodari:


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domenica 15 luglio 2012

OLINDO GUERRINI ovvero ARGIA SBOLENFI & Co.


CONFIDA LE SUE PENE ALLA BEATA VERGINE
 
  SONETTO SBOLENFIO
 
  O pia Maria, ve’ della mia terribile
    Pena terrena la catena ignobile!
    Vien manco il fianco stanco ed è impossibile
    Ch’io resti a questi mal molesti immobile!
 
  Dura sciagura, arsura inestinguibile,
    Ricetto eletto han nel mio petto e, mobile
    La mente, sente un serpente invisibile
    Che ha vinto, estinto, in lei l’istinto nobile!
 
  O Bella Stella, o Verginella amabile,
    Ascolta, volta a me stolta e volubile,
    La preghiera sincera e vera e stabile.
 
  Odo che un nodo sodo e indissolubile
    Fa fiorita ogni vita attrita e labile....
    Mia pia Maria, fa ch’io non sia più nubile!!


IN BICICLETTA


Giammai, scoccata da una man feroce
Dallarco teso non fuggì saetta
Come sul suo sentier corre veloce
                  La bicicletta.

Volan le rote e mentre sulla via
Nessun rumor presso di lei si sente,
Qualche imbecille al corridore invia
                 Un accidente.

A me che importa se della canaglia
Minsegue il riso o il mormorar dalcuni,
Se liniqua parola altri mi scaglia
                O il molla Buni?

Io corro, io volo sulla bicicletta,
Questo ideal della cavalcature:
Chi soffre d’emorroidi o di bolletta,
                   M’insulti pure.

Ch’io son beata e un fremito m’assale,
Mi avvolge un’onda di piacer sovrano,
Quando vengo stringendo il trionfale
Manubrio in mano.

Io son beata allor che fra le gambe
Sento il rigido ordigno e in quegli istanti
Tendo le coscie e l’agitar d’entrambe
Lo spinge avanti. 

“Molla Buni!” fu nel 1894, all’Arena di Milano, il grido del pubblico, stupefatto perché il ciclista Romolo Buni, “il piccolo diavolo nero”, rimasto solo in pista dopo il ritiro degli avversari (i francesi Médinger e Cassignard), non smetteva di pedalare forsennatamente per battere il record di velocità, anziché prendersela comoda. Divenne un modo di dire per spronare i pigri e calmare i troppo zelanti.


FAVOLETTE MORALI

VIII.

Un tonno innamorato
Lesse i Promessi Sposi
E tutto riscaldato
Da sensi religiosi,
Andò pianin pianino
A farsi cappuccino.

Morale

Fai bene se t’astieni
Dal legger libri osceni.


POBRE CARLOS (*)

¿Habla: se pueda ser mas desdichada?
Quiereba Carlos el toreadores,
Ma un toro viense in la plaza mayores
Y per matarlos al sfrodò la espada.

El toro escapò vias por la contrada
¡Mo Carlos, dietros, fagando romores!
Cuando el toro ¡ahi de mi, caros señores!
Per de dietros ce apogia una cornada.

Carlos cascò cridando ¡ahi, porco mundo!
Viense il medico y hablò: ¡mo bozaradas,
El corno ha penetrado ensino al fundo!

¡Parece un nido carico de vrespas;
Las pobras chiapas miranse sfondadas,
Todo està roto y buena noche crespas!

(*) Lo Spagnuolo non beve... certo l’onda del Manzanares.

(Poesie tratte da: Aria Sbolenfi, Rime, 1897)


«GRILLÒ ABBRAGIATO. - La volaglia spennata si abbrustia, non si sboglienta, ma la longia di bue piccata di trifola cesellata e di giambone, si ruola a forma di valigia in una braciera con butirro. Umiditela soventemente con grassa e sgorgate e imbianchite due animelle e fatene una farcia da chenelle grosse un turacciolo, da bordare la longia. Cotta che sia, giusta di sale, verniciatela con salsa di tomatiche ridotta spessa da velare e fate per guarnitura una macedonia di mellonetti e zuccotti e servite in terrina ben caldo».

(Lettera a Pellegrino Artusi, citata in La Scienza in cucina e l'Arte di mangiar bene)


 

OLINDO GUERRINI

(Forlì, 4 ottobre 1845 – Bologna, 21 ottobre 1916)


Ecco come andò la cosa.
Nell’inverno del 1868 io davo ad intendere alla mia famiglia di studiar legge; anzi, per confermarla vie più nell'errore, alla fine di quell'anno mi laureai.
(Parentesi. Mi ricordo che ci chiusero nell’Aula Magna dell'Università. Eravamo otto o dieci candidati, e, allegri come quelli non se ne trovano più. Venne il professore di Diritto Canonico, munito di una borsa gigantesca che conteneva la bellezza di sessanta palle. Ognuno di noi immerse la mano nel venerando borsone ed estrasse una palla sola, il cui numero corrispondeva a quello di una tesi da svolgere in iscritto. A me toccò una tesi laconica: Del Comune; una tesi che non conoscevo nemmeno di saluto. Il professore se ne andò e noi ordinammo la colazione. Pensammo che il vino (era buono!) dovesse rischiararci le idee, e ne bevemmo.... si sa.... ne bevemmo.... con molto piacere. Mi ricordo anche, un po’ confusamente, di aver ballato con molta energia, insieme ai colleghi, intorno ad un mappamondo in mezzo all’aula, e di aver riscossi unanimi applausi per l’esecuzione brillante dell’esercizio ginnastico detto l’albero forcuto. Sul tardi ci decidemmo a lavorare, ed io comunicai i miei bollenti spiriti all’opera della mia sapienza giuridica. Cominciai coprendo di vituperi il cranio di papa Clemente VII perchè distrusse la repubblica fiorentina, e finii rimproverando il ministro Menabrea perchè dopo Mentana non era andato a Roma. Domando io che cosa c’entrava questa borra in una tesi di diritto amministrativo? E tra il principio e la fine, era una tempesta di punti ammirativi, di apostrofi, di sarcasmi, d’esclamazioni; c’erano dentro tutte le più calde figure rettoriche possibili. Era insomma una tesi un poco brilla.
Cinque o sei giorni dopo, la mattina a digiuno, coll’abito a coda di rondine e la cravatta bianca, dovetti recarmi all'Università per leggere e sostenere pubblicamente la tesi davanti alla Facoltà ed agli ascoltatori. Lessi, ma in parola d’onore, avrei preferito di non leggere. Mi vergognavo. Tutto quel lirismo bacchico recitato a bassa voce da un giovine a digiuno, in soggezione e colla voce spaurita, doveva fare un bell’effetto! Alle interrogazioni dei professori m’impaperai, dissi degli spropositi cavallini, feci una figura nefanda, e forse mossa da un delicato senso di compassione, la Facoltà mi approvò a pieni voti. Vorrei esprimere la mia gratitudine ai benefattori, ma credo che sia tempo di chiudere la parentesi). (Brani di vita, 1908)
Poteva un tipo del genere fare l’avvocato? No, e infatti Olindo Guerrini fu poeta e giornalista e, per garantirsi la sicurezza economica, impiegato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, di cui divenne in seguito direttore.
Aveva ambizioni letterarie, il Guerrini, ma era una persona di buon senso: era materialista, ma irrideva gli eccessi del positivismo lombrosiano; era socialista, ma conduceva una vita da buon borghese.
Anticlericale, non sopportava i poeti cattolici: L’eterno Iddio del Manzoni era l’oggetto del mio odio accanito; e tutto quel cristianesimo nè carne nè pesce degli scrittori che adorano San Pietro e vituperano il suo successore, mi dava delle ore di bile iraconda. Il mio vangelo filosofico era la Filosofia della rivoluzione del povero e grande Ferrari; e in questo forse ho cambiato poco. Potete dunque immaginare il gusto che mi dettero poi le lodi prodigate all’abate Zanella! (Brani di vita, 1908).
Ma non amava nemmeno le novità della poesia simbolista: E come sono noiose le sciarade del simbolismo! Pensare che ci sono dei superuomini che invidiano gli allori di Oscar Wilde; pensare che tutto questo è un regresso, un ritorno al Medio Evo, proprio quando sta per cominciare il secolo ventesimo! Ma dunque sarà proprio vero che l’intero genere umano sia malato di nervi, poichè in tutti questi libri non si trovano che squilibrati e mattoidi? Non ci sono più donne sane in terra che da ogni pagina vaporano le aure dell’isterismo? È possibile che non si trovi più un cuore buono, un cervello equilibrato, un utero normale? L’epilessia e l’allucinazione sono dunque la regola e la sanità l’eccezione?
Se i disturbi dell’innervazione sono così generali, come sembra a questa letteratura psicopatica, non sarebbe egli più utile raccomandare ai sofferenti, non la morfina, ma le docciature e la bicicletta? Se l’esaurimento nervoso è il male che affligge la presenti generazioni, non sarebbe meglio leggere l'Ariosto all’aria aperta, piuttosto che inghiottire l’Ibsen nell’afa del teatro? Ma no; l’Ariosto non è più di moda e l’aria aperta sciupa il candore della pelle clorotica; e così sia!  (Prefazione di Lorenzo Stecchetti alle Rime di Argia Sbolenfi)
            Difficile fare il poeta maledetto, quando si preferisce la bicicletta alla morfina (Guerrini era un appassionato di ciclismo)!


           Nascondeva la sua timidezza assumendo una doppia personalità; l’amico Corrado Ricci lo ricorda così: […] non usciva mai di sera […] e se ne rimaneva in casa a leggere e a studiare, impacciato davanti a tutte le donne e fuggitivo dinanzi a quelle che gli dimostravano una provocante simpatia […]. Era un uomo soggetto a un singolarissimo sdoppiamento, un uomo a due
anime: l’una sensata e mite, l’altra sprezzante di ogni riguardo […]. Sembrava quasi che volesse nascondere ciò che egli era in effetti, che temesse da certi suoi amici spregiudicati l’accusa di timido e di casto e cercasse di difendersene col mostrarsi impronto e dissoluto. Vi sono ipocriti della castità, egli era un ipocrita della corruzione; voleva parere un audace, un ghermitore
di donne, un libertino, mentre di fronte ad esse non era che un pavido… Di questa finzione si compiaceva anche perché alimentava la sua passione romagnola e bolognese delle burle.
Ma soprattutto, come abbiamo visto, Guerrini aveva il senso dell’umorismo, il che implica una presa di distanza dall’oggetto della propria scrittura.
Come procedere allora? Creandosi delle identità alternative, diverse e in contraddizione l’una dall’altra, sperimentando per procura umori propri e altrui, spaziando dal patetico e drammatico all’umoristico e non di rado triviale. Lo scrittore e il bibliotecario si uniscono, creando una biblioteca personale di autori immaginari. C’è chi ambisce a essere unico; Guerrini no: voleva essere tanti.
Nascono così:
–  Lorenzo Stecchetti, fantomatico poeta cugino del Guerrini – che finge di curarne il manoscritto pubblicato postumo – morto di tisi all’età di trent’anni (l’avrà letto Gozzano?)
e
– Argia Sbolenfi, cuoca bolognese dagli appetiti sessuali robusti ed espliciti, sempre frustrati e inappagati, le cui Rime sono precedute dalla prefazione di un riluttante Lorenzo Stecchetti (per cui il cambio di identità risulta doppio!)
e una serie di identità minori:
– Marco Balossardi, Pulinera, Mercutio, Odino Linguerri, Giovanni Dareni.
      Per avere un’idea della varietà di registri, ecco due poesie del Nostro, magistralmente dette da Paolo Poli (cliccare sui titoli):
            Lorenzo Secchetti, Il canto dell’odio;
Argia Sbolenfi, A un vaso nuovo di porcellana Ginori (Poli recita una versione ridotta e leggermente diversa da quella delle Rime, intitolandola Ode al pitale).

Ma passiamo all’analisi delle Rime sbolenfiane.
La polemica antimanzoniana e anticlericale fa capolino anche qui (Favoletta morale VIII), mentre la passione per la bicicletta diventa l’occasione per una poesia piena di doppi sensi triviali (In bicicletta).
Insieme con le sgrammaticature (oltre a non essere attraente, Argia è anche ignorante, soprattutto all’inizio), non manca la ricerca di soluzioni sperimentali (da un componimento in spagnolo maccheronico a un tipo di sonetto, definito sbolenfio, che consiste soprattutto nell'impiego di parole e rime sdrucciole). (Giuseppe Zaccaria, voce su Olindo Guerrini del Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani editore.)
Guerrini scrisse in italiano, veneto, romagnolo: la passione per la sperimentazione linguistica trova qui un esito umoristico in Pobre Carlos, dove il divertimento non sta tanto nella vicenda – banale – raccontata, quanto nell’invenzione di un esilarante spagnolo maccheronico. Un altro esempio di questa passione è il Grillò abbragiato: ricevuta in omaggio una copia de La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, manda all’amico Artusi una lettera in cui loda l’opera come la migliore, la più pratica, e la più bella e si prende gioco dei barbarismi di manuali come quello del Vialardi che fa testo in Piemonte, facendone una cernita e concentrandoli in questa ricetta immaginaria.
Ma le poesie tecnicamente più impegnative sono i 6 sonetti cosiddetti “sbolenfi”, dei quali qui si riporta Confida le sue pene alla beata vergine. Giuseppe Zaccaria sembra non rendersi conto che in realtà si tratta di leporeambi, un tipo di sonetto dalla struttura particolarmente complessa e cogente, creata da Ludovico Leporeo nel XVII secolo. (In realtà non sembra essersene accorto nessuno: possibile che io sia il primo?) Come in Leporeo troviamo:
               – rime    – assonanti,
                               – preferibilmente sdrucciole:
                                              -ibile, -obile, -ubile, -abile,
                               – anche se, contrariamente a Leporeo,
                                 non sono poste in ordine alfabetico;
               – versi con rime interne (in questo caso 3):
                                   O pia Maria, ve’ della mia terribile.
            E il bibliotecario Guerrini conosceva senz’altro Leporeo,
perché i libri antichi li studiava: pubblicò, per esempio, il primo
studio serio su Giulio Cesare Croce.
             Li studiava e, almeno in un caso, li annotava: una volta
un suo dipendente, Alberto Bacchi della Lega, aveva lasciato
momentaneamente il manuale di ornitologia del Savi aperto sulla 
pagina dedicata al Passer Italiae; quando tornò trovò questa
nota a margine, scritta dal Guerrini:

Deh, l’ornitologo
come un corbello
scambia la passera
per un uccello
.


NOTE
La citazione di Corrado Ricci si trova in
P. Pancrazi, Stecchetti uomo strano, in Ragguagli di Parnaso, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1967, pp. 537-543,
riportata nella tesi di laurea (che consiglio di leggere) di
Valentina Forlivesi, Folklore e dialetto in Olindo Guerrini, Giovanni Pascoli, Tonino Guerra e Libero Riceputi, Università degli Studi di Bologna.
L’aneddoto “ornitologico” è riportato, col n. 59, in
               Giuseppe Fumagalli, Aneddoti bibliografici, Milano, Bietti, 1933.


LETTURE CONSIGLIATE

Versione digitale delle poesie di Argia Sbolenfi, di Lorenzo Stecchetti, dei sonetti romagnoli, dei Brani di vita.
Un commento umoristico sull’unificazione linguistica italiana, partendo dal Grillò abbragiato per passare all’analisi della lingua di Pellegrino Artusi, si trova nel mio
Sebastiano Zanetello, Zuppa romana – Non temare di provare culinare – (as)saggi umoristico-gastronomici, Firenze, Mauro Pagliai editore, 2012.

SITI INTERNET
Voce su Olindo Guerrini, a cura di Giuseppe Zaccaria, del Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani editore.
            Voce su Olindo Guerrini.
            Articolo di Giovanna Tagliati su Olindo Guerrini        
            gastronomo, ciclista e poeta in romagnolo.


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