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domenica 18 ottobre 2015

ALFREDO CASTELLI ovvero L’OMINO BUFO





(Dal Corriere dei Ragazzi)


(Da Lupo Alberto o Cattivik)



ALFREDO CASTELLI
(Milano, 26 giugno 1947 – vivente)
(da Wikipedia, caricamento originale: Castellin)

In casa eravamo due fratelli e quattro sorelle: il giornalino a cui eravamo abbonati, e che ci contendevamo quando arrivava, era il Corriere dei Piccoli, diventato nel 1972, in seguito a un referendum fra i lettori, Corriere dei Ragazzi. A distanza di decenni, uno dei miei ricordi più nitidi di quel giornalino sono i fumetti dell’Omino bufo. Fatto paradossale, perché si trattava del fumetto più programmaticamente disegnato male di tutto il giornale, e, soprattutto, caratterizzato da un umorismo spudoratamente basato su giochi di parole tremendi, di una stupidità insuperabile.
Ricordo perfettamente la prima gag a colori che vi venne pubblicata (CdR n. 14, 1972): un omino definito buffo (ma avrebbe perso presto la doppia F) che scivolava su una buccia di banana; commento: Ah, ah, ah! Che ridere! Il tutto era preceduto dalla seguente didascalia:
SIAMO SPIACENTI DI COMMUͶICARE CHE I DISEGNATTORI E GLI SEͶEGGIATTORI DI TILT SONO IN SIOPERO, PERCIÒ LA RUBBRICA È STATA AFIDATA A DEI PITORI CHE DIƧEGNAVANO SANTINI SUI MARCIAPPIEDI . (In seguito i generici “pitori” da quattro soldi si unificarono nella figura dello sciagurato “Pitore di Santini”; erano altri tempi: oggi i madonnari sono tecnicamente bravissimi.)


Il creatore era Alfredo Castelli (che in seguito avrebbe ideato e sceneggiato, fra l’altro, Martin Mystère), che racconta così la nascita della prima striscia: Controllando la ciano del settimanale, mi ero reso conto che era scomparso il logo della pagina delle vignette. L’impaginazione elettronica era al di là da venire: anziché di file si faceva uso di pellicole; quando se ne perdeva una, come in quel caso, occorreva rifarla con grande perdita di tempo, e c’era fretta. Nacque così la prima strissia comica: un omino dalla risata esagerata presentava un messicano che invitava al silenzio indicando una noce, soggiungendo: El silensio della noce!


L’unica differenza con la battuta di Vianello da cui la gag era stata copiata era l’ultima vignetta con la frase “Che ridere, che ridere!” pronunciata da un omino che sghignazzava sgangheratamente. La vignetta in questione aveva lo scopo di allungare il disegno portandolo alla misura necessaria, ma schiere di sociologi […] – soggiunge scherzando Castelli nella sua semiseria rievocazione del personaggio – sostennero che essa aveva un ruolo demitizzante, in quanto ironizzava metafumettisticamente sulla stupidità della battuta stessa; insomma, una sorta di “doppia lettura”, la prima immediata e la seconda più critica. In ogni caso la vicenda era destinata a rimanere senza seguito, e invece, subito dopo la pubblicazione, cominciarono a giungere decine lettere di lettori che proponevano nuove strisce di loro invenzione.
E così il personaggio dell’ Omino bufo continuerà a comparire nel Corriere dei Ragazzi fino al 1975, trasferendosi poi a Lupo Alberto (1984) e a Cattivik (1992). Nel 1993 Castelli, dopo 52 strisce,  passerà il testimone a Francesco Artibani, che ne realizzerà altre 601.

Perché fa ridere l’Omino bufo?
L’osservazione di Castelli sul doppio livello di lettura è pertinente: noi leggiamo l’Omino, che legge la striscia. Questo introduce un elemento di distanza: è l’Omino a ridere della battuta, non noi, che siamo troppo intelligenti per farlo; noi ridiamo della sua stupidità. Il che è senz’altro vero, ma spiega solo in parte l’effetto comico delle strisce e il loro successo. Ci dev’essere dell’altro.
Il funzionamento dell’umorismo, come pure dell’opera d’arte e della scoperta scientifica, è basato su quello che Edward De Bono chiama pensiero laterale: il risultato del processo creativo non è ricavabile meccanicamente dalle premesse, con un algoritmo; però, a posteriori, appare il più logico e coerente. Logico, ma imprevedibile. La differenza dell’umorismo rispetto alle altre forme creative sta nel fatto che la sua logica funziona, ma solo apparentemente, perché porta a conclusioni
– paradossali:
“Scusi, perché ha un cetriolo nell’orecchio?”
“Parli forte! Non vede che ho un cetriolo nell’orecchio?”
– o fallaci:
“Mia moglie si crede una gallina.”
“La faccia curare.”
“Bravo, e  poi chi mi fa le uova?”
– o basate su un equivoco:
Due carabinieri, salendo lo Stelvio, leggono il cartello Qui comincia la neve perenne; allora uno fa all’altro: “Appuntato, pure a Caltanissetta la neve comincia per N!”)
– o sproporzionate e inutilizzabili:
“Ho la casa invasa dai topi e non riesco a liberarmene: tornano sempre”
“Avevo anch’io lo stesso problema, ma l’ho risolto definitivamente.”
“E come hai fatto?”
“Ho dato fuoco alla casa.”

Nelle strisce dell’Omino bufo è proprio l’imprevedibilità a far funzionare la battuta finale che, presa da sola, sarebbe (come minimo) fiacca (e che, nel contesto, appare perfettamente logica).
A questo si aggiunge:
– la sproporzione fra lo sforzo di inventare e disegnare una storia solo per giustificare un gioco di parole altrimenti impresentabile o addirittura inutilizzabile;
– la curiosità masochistica del lettore ansioso di constatare a quali abissi di stupidità lo porterà il fumettista.
E, certo, la nota patetica dell’omino che cerca ingenuamente di potenziare l’effetto comico informandoci che si tratta di qualcosa di molto bufo, non è ininfluente –anzi! – sull’effetto finale.

Rendere utilizzabili le battute che chiunque altro avrebbe cestinato per la loro stupidità, farci ridere senza vergogna delle battute più insulse: questo è riuscito a fare Alfredo Castelli: chapeau.


SITI INTERNET
Pagina di Wikipedia dedicata all’Omino bufo.

Pagina di Wikipedia dedicata ad Alfredo Castelli.

Pagina di Biografieonline dedicata ad Alfredo Castelli.


Pagina di Wikipedia dedicata al Corriere dei Piccoli.



LETTURE CONSIGLIATE
Se siete arrivati fin qui in fondo senza storcere il naso, vi consiglio i seguenti testi (da cui ho ricavato le notizie sull’Omino bufo e le citazioni di Alfredo Castelli):
– Alfredo Castelli, Francesco Artibani, L’OMINO BUFO! . L’INTEGRALE. AL PAGGIO NON C’È MAI FINE. Le strip di Castelli a Artibani pubblicate su Lupo Alberto e Cattivik dal 1984 al 2001 – Strisce 1/378, Modena, Panini Comics, 2013.
Contiene anche la prima striscia e la prima tavola a colori del Corriere dei Ragazzi.
– Alfredo Castelli, Francesco Artibani, L’OMINO BUFO! . L’INTEGRALE. AL PAGGIO NON C’È MAI FINE. Le strip di Castelli a Artibani pubblicate su Lupo Alberto e Cattivik dal 1984 al 2001 – Volume 2. Strisce 379/653, Modena, Panini Comics, 2013.
Contiene anche 38 strisce dal Corriere dei ragazzi 1972-1973 (non 39 come dichiarato, perché una, per errore, è ripetuta due volte).
In realtà non si tratta di una vera integrale, perché le 38 strisce del Corriere dei Ragazzi sono solo una parte di quelle a suo tempo pubblicate: manca per esempio la striscia colori su Dracula e le mente, che ricordo bene. Tale striscia fu rifatta poi in seguito in bianco e nero per Lupo Alberto o Cattivik, come pure fu rifatta quella del silensio della noce.


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domenica 28 dicembre 2014

Canzoni proibite: TONY TAMMARO ovvero SE POTREI AVERE TE



AVVERTENZA:
Il testo che si presenta, per i suoi contenuti, potrebbe causare insicurezza e turbamento in menti giovani e non ancora formate. Se ne consiglia pertanto la lettura solo a un pubblico adulto e che abbia adempiuto l’obbligo di istruzione.

SE POTREI AVERE TE (clic per ascoltare la canzone)  

Se potrei avere te,
fosse il massimo per me:
una donna mancipata,
con la laura già pigliata
si mettesso insieme a me!

Se potrei avere te,
(Ma come parla be’!)
fosse il massimo perché,
(Ma come parla be’!)
non per fare lo sbruffone,
mi facessi un culturone,
diventassi come a te!
(Ma come parla be’!)

Ma tu mi critici e mi schernichi
tutte le sere davanti agli amichi.
La colpa è tutta di mammina
che mi ha mandato solo in Primina.

Se potrei avere te,
(Ma come parla be’!)
io studiassi come a che,
(Come a che, come a che)
mi leggessi la Treccani,
anche se non amo i cani,
pur di stare insieme a te!

Mi piace Bach: è un bel cantante,
fa la réclame di un deodorante,
canta le musiche di Puccini,
quello che ha scritto I tre porcellini.

Se potrei avere te,
(Ma come parla be’!)
io cambiassi, e sai perché?
(Sai perché? Sai perché?)
Mi facessi una studiata,
tutti i verbi e la grammata
imparassimi per te.

(Ma come suona be’!
Proprio be’, proprio be’!)

Leggo riviste, leggo giornali,
tutti gli articoli culturali:
se tu sapresti quanto è bello
l’ultimo film di Pirandello!

Se potrei avere te,
(Ma come parla be’!)
ma purtroppo non sta be’
(non sta be’, non sta be’)
che una donna di scrittura,
gli si ottura la cultura
se si mette insieme a me.
(E mo hai parlato be’!) 




TONY TAMMARO
pseudonimo di
VINCENZO SARNELLI
(Napoli, 1961)


Se non conoscete Tony Tammaro, una cosa è certa: non siete napoletani. Perché, a parte qualche sporadica apparizione sulla tv nazionale, la carriera di Tony Tammaro si è svolta in ambito locale, in Campania. Carriera locale, ma tuttavia di successo, testimoniato dal fatto che le sue incisioni musicali – autoprodotte – sono state ripetutamente piratate.
La scelta del cognome “Tàmmaro” – realmente esistente – allude al “tamarro” = giovane dai modi rozzi, che segue gli aspetti più appariscenti e volgari della moda (dizionario De Mauro). Scelta analoga a quella di Luca Pasquale Medici, che in arte è diventato Checco Zalone = “Che cozzalone!”, termine dal significato analogo.
E, come Checco Zalone, Tony Tammaro è un cantante comico, autore di divertenti riscritture (La mia banda suona il rock diventa Mio fratello fuma a scrocco) e parodie di pezzi famosi (Alla fiera dell’est diventa Alla fiera della casa), di aggiornamenti di vecchi pezzi (’A Smart si ispira certamente a La Balilla), di rock & roll e blues nostrani, cantati in stretto dialetto locale (O’ trerrote), non disdegnando il turpiloquio (Bottana) e la scatologia (U strunzu).
La tecnica è spesso quella dell’abbassamento del tono: da alto a basso, da romantico a triviale, da una lingua straniera al dialetto stretto o alla sua versione maccheronica; o quella affine del contrasto di tono, fra il testo originale – volgare – e la sua traduzione simultanea ad usum delphini.
Anche in Se potrei avere te il divertimento sta – oltre che negli svarioni così enormi da fare tenerezza – nel contrasto fra le aspirazioni del poveraccio innamorato e la sua evidente, tragica, inadeguatezza. Il testo comincia con un errore classico, anzi due: Se potrei avere te, fosse il massimo per me. E pensare che al tapino sarebbe bastato invertire i collegamenti nella centralina del suo cervello, scambiando il condizionale col congiuntivo: Se potessi avere te, sarebbe il massimo per me. Facile, no? Fin qui sì, ma per il resto non c’è niente da fare: bisogna studiare; o, molto meglio: leggere, leggere, leggere.


SITI INTERNET

http://www.tonytammaro.com/ 
Sito ufficiale di Tony Tammaro.

http://it.wikipedia.org/wiki/Tony_Tammaro 
Pagina di Wikipedia su Tony Tammaro.

http://www.albanesi.it/inchieste/congiuntivo.htm 
Un articolo esaustivo sull’uso del congiuntivo, corredato da foto divertenti di scritte sui muri.


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sabato 26 luglio 2014

Canzoni proibite: PIPPO FRANCO ovvero HAI STATA TU


AVVERTENZA:
Il testo che si presenta, per i suoi contenuti, potrebbe causare insicurezza e turbamento in menti giovani e non ancora formate. Se ne consiglia pertanto la lettura solo a un pubblico adulto e che abbia adempiuto l’obbligo di istruzione. 

(Mario Castellacci, Pier Francesco Pingitore, Luigi Proietti, Franco Pippo, dall’album cara kiri, 1971) 

Hai stata tu
che s’è infranto er nostro amore.
Hai stata tu
chi se lo fosse mai creso.
Io darebbe chissacché
se tu diceressi ancor:
“Si vediamo,
si vediamo questa sera.”
De cui
io sarebbe assai felice.
La quale
se tu mi telefonando
direbbi che mi ami
che torneressi entrambi con me.

Ho stato io
che ti dissi: “Vadi pure.”
Hai stata tu

che s’è chiusa quella porta.
Ribbadiscimi che tu,
rivivendo un’arba traggica,
te sei ‘strutta
pe’ l’amore mio de me.

Semo stati tutt’e due
che si abbiamo fatto male
siamo stati un po’ per uno
che corressimo sur filo.
Sul rasore dell’amor
nun ce cresce erba fugace.
Tutto tace
e la luce si spegnò.
E la luce si spegnò!
Mia cara, fatte conto
che la luce si spegnò!




PIPPO FRANCO
pseudonimo di
FRANCESCO PIPPO
(Roma, 1940)



Gli errori di Ho rimasto (versione italiana di What do you want to make those eyes at me for, tradotta e cantata da Don Backy) e di Ho soffrito per te (Jannacci, Ponzoni, Pozzetto, Marchesi) appaiono come roba da dilettanti se confrontati con quelli di questa canzone di Pippo Franco. Perché qui, direbbe Paolo Conte, si sbaglia da professionisti: nel testo, al posto degli errori, si fa prima a contare le locuzioni corrette!
La cosa più notevole è però, secondo me, il finale: quel perentorio la luce si spegnò che, alla maniera di Beethoven (Ludwig, non rivoltarti nella tomba!) sembra sempre l’ultimo e definitivo e invece continuamente risorge per morire di nuovo. Avrebbe funzionato altrettanto bene la luce si spense? No, certamente. E questo vi insegni, miei diletti, che, a dispetto dei professori, qualche volta sbagliare è necessario.



SITI INTERNET
Nel blog Il negozio di Euterpe trovate una recensione dell’album cara kiri (clic).

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giovedì 20 marzo 2014

Canzoni proibite: ENZO JANNACCI, COCHI E RENATO, ovvero HO SOFFRITO PER TE


AVVERTENZA:
Il testo che si presenta, per i suoi contenuti, potrebbe causare insicurezza e turbamento in menti giovani e non ancora formate. Se ne consiglia pertanto la lettura solo a un pubblico adulto e che abbia adempiuto l’obbligo di istruzione.

 

HO SOFFRITO PER TE (1966) (clic per ascoltare la canzone)
(Jannacci, Ponzoni, Pozzetto, Marchesi)
cantano: Cochi e Renato)
(versione originale)

T’ho vista che era sera
davanti a un cinemà:
sembravi proprio vera,
son stato lì a guardar.

T’ho scritto un bigliettino

per dirti del mio amor:
risposta mai non giunse,

capir non so il perché.

Ho soffrito perché

non s’è capito niente.
(Niente)
Ho soffrito perché
adesso un’altra c’è,
adesso un’altra c’è.

T’ho vista un’altra sera:
correvi dietro a un tram,
(28)
correvi troppo forte,

son stato lì a guardar.
 

Ho chiesto a mio cugino
(Aristide)
di scriverti per me:
risposta mai non giunse,
qualche difficoltà.

Ho soffrito perché

non s’è capito niente,
(Niente)
ho soffrito perché
adesso un’altra c’è,
adesso un’altra c’è

Ho soffrito per te,
ma ti perdonerebbi;
ho soffrito per te
che ti hai prenduto me,
che ti hai prenduto me.

Ho soffrito tanto,
ho soffrito moltissimo che non mi ricordo neanche più.
Non farmi più soffriggere.

 

HO SOFFRITO PER TE (clic per vedere l’esibizione televisiva)
(cantano: Cochi e Renato)
(versione tv: Quelli della domenica, 1968)

Non s’è capito niente,

(Proprio niente!)
un tragico equilibrio
(Bilico!)
Ma se tu avrebbi avuto
(Sì...)
un po’ di fede in me
(stesso!)
tu mi comprenderesti
(Sì...)
tu mi comprenderesti
(E allora?)
e allora si salvasse
l’amore mio per te

Ho soffrito perché

non s’è capito niente,
(Niente)
ho soffrito perché
adesso un altra c’è,
adesso un’altra c’è.

Ma se vorrebbi avermi

ancor come una volta,
(Hully gully)
dille che più non venghi
(Hully gully)
e che magari pianghi
(Hully gully)

Dille che se ne vadi,

(Vadi via!)
dille che vadi via,
(Hully gully)
che favi una pazzia
(Hully gully)
e che non venghi più.

Ho soffrito perché

non s’è capito niente,
(Niente)
ho soffrito perché
adesso un altra c’è,
adesso un’altra c’è.

Ho soffrito per te,
ma ti perdonerebbi,
ho soffrito per te
che ti hai prenduto me,
che ti hai prenduto me.

Ho soffrito tanto che non mi ricordo neanche più:
non farmi più soffriggere!





VINCENZO detto ENZO JANNACCI
 Milano, 1935 – ivi, 2013)
fra
AURELIO (detto COCHI) PONZONI
(1941)
(alla sua destra) e
RENATO POZZETTO
(1940)
(alla sua sinistra)


Frequentavo la seconda media quando la RAI – era il pomeriggio di domenica 21 gennaio 1968 – trasmise la prima puntata di Quelli della domenica: uno strano programma, che sovvertiva le regole dell’intrattenimento televisivo. Era condotto da un presentatore sempre imbronciato, che trattava male il pubblico e raccontava strane storie di disavventure impiegatizie; vi partecipavano due ragazzotti che proponevano scenette dal vago sapore surreale e canzoni nonsense. Non mi facevano proprio ridere.
Mi divertivano solo Ric e Gian: una coppia collaudata di comici che proponeva sketch tradizionali. Mi ci son volute diverse puntate per abituarmi e cominciare ad apprezzare quella nuova comicità: non si può dire certo che si sia trattato di amore a prima vista (e nemmeno a seconda e a terza): ma è un amore che dura ancora.
Il presentatore si chiamava Paolo Villaggio, i ragazzotti Cochi e Renato: era la prima volta che comparivano in televisione. Provenivano – ma questo l’ho scoperto solo molti anni dopo – dal Derby Club: un locale fondato a Milano da Gianni e Angela Bongiovanni, nato come ristorante (Gi-Go, 1959) per poi trasformarsi in un locale di musica e cabaret (chiamandosi inizialmente Intra’s Derby Club, 1962, dal nome del jazzista Enrico Intra e per la vicinanza all’ippodromo di San Siro). Avrebbe chiuso nel 1985, passando idealmente il testimone allo Zelig (aperto subito dopo, il 12 maggio 1986). Il Derby fu la palestra di tanti comici e cantautori italiani (per maggiori informazioni, fai clic qui).

Ma torniamo alla trasmissione: alla composizione delle canzoni di Cochi e Renato collaborava Enzo Jannacci – ma nemmeno quello sapevo allora –.
Fu così anche per Ho soffrito per te: una canzone che contestava anarchicamente la grammatica, e il cui testo fu poi riscritto, diventando ancora più nonsense e più sgrammaticato (è quest’ultimo quello utilizzato in Quelli della domenica). 
Gli errori, che riguardano la coniugazione dei verbi, nella prima versione non sono molti:
– un condizionale: (io) ti perdonerebbi anziché “ti perdonerei”, per analogia con “(egli) ti perdonerebbe”;
– due participi passati: “soffrire→soffrito” anziché “sofferto” (per analogia con “capire→capito”), “prendere→prenduto” anziché “preso” (per analogia con “vendere→venduto”).
Ma la chicca sta nel parlato finale, dove da un errore di primo grado ne nasce uno di secondo grado: se “soffrire” genera “soffrito”, con processo inverso “soffrit(t)o” viene fatto risalire a un originario “soffriggere”!
Nella versione televisiva gli errori sono molti di più; si aggiungono:
– inversioni congiuntivo condizionale, che per soprammercato vengono coniugati in modo scorretto: “e allora si salvasse”, “Ma se vorrebbi avermi”;
– ma soprattutto i congiuntivi sbagliati che stavano, per opera di Paolo Villaggio, diventando il marchio di fabbrica linguistico del mondo aziendale di Fantozzi: “venghi”, “pianghi”, “vadi” (a cui si aggiunge il più esotico “che favi una pazzia”).
La fantasia aveva già preso il potere ed era vietato vietare: non era ancora maggio, si era solo in gennaio, ma il mitico ’68 era già cominciato. E io, ahimè, non me ne ero accorto. 

LETTURE CONSIGLIATE
Cochi e Renato, Due brave persone, Milano, Rizzoli, 1975 (BUR: 1983).
Fuori commerico, è reperibile sul mercato antiquario (eBay, Maremagnum, Amazon, ecc.). 


SITI INTERNET:
Fonti consultate, dove potete approfondire l’argomento:
http://it.wikipedia.org/wiki/Cochi_e_Renato 
Pagina di Wikipedia su Cochi e Renato.
http://it.wikipedia.org/wiki/Derby_Club 
Pagina di Wikipedia sul Derby Club.

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