GUIDO ABRAMO VERONA
(Saliceto Panaro,
comune di Modena, 7 maggio 1881 – Milano, 5 aprile 1939)
in arte (e in seguito
anche all’anagrafe)
GUIDO DA VERONA
(Copertina della
prima edizione della parodia manzoniana)
Il 20 gennaio
1930 un distinto signore sta percorrendo via Bernardo Luini, a Milano, quando
viene avvicinato da due giovani.
– Lei è Guido
Da Verona? – gli chiede uno.
– Sì. –
L’altro, alle
sue spalle, gli sferra un pugno all’orecchio. L’aggredito, alzando le braccia,
cerca di difendersi dai pugni e dagli schiaffi; accorre gente e i due
giovinastri fuggono.
Guido Da
Verona ritorna alla Casa del Fascio, in Via Nirone – dove era appena stato per
tentare, inutilmente, di farsi ricevere dal segretario, Luigi Franco Cottini –
per denunciare l’aggressione; ma gli viene risposto che l’avvocato Cottini è
già andato via.
Guido Da
Verona era uno degli scrittori italiani più noti dell’epoca. Nel 1927 il totale
delle vendite dei suoi libri ammontava a 1.250.000 copie (dato parziale, perché
non include le copie vendute di altri 8 libri pubblicati dopo il 1922). Era uno
degli scrittori più letti d’Italia e uno dei più pagati d’Europa, tanto da
potersi permettere di fissare la sua residenza in un albergo: il Cavour di
Milano; lo aveva abbandonato solo per trasferirsi nell’antico castello, con
tenuta, di Intimiano (Como), acquistato per dedicarsi a una delle sue passioni:
i cavalli. Nel 1919 l’editore Bemporad gli aveva fatto avere un assegno di
1.000.000 di lire per metterlo sotto contratto: all’epoca assegni di
quell’importo li riceveva solo il signor Bonaventura! (Per i curiosi: 1.450.000
€ attuali; e si trattava solo di un anticipo.) (Per chi
non ci crede: potete rifare il calcolo qui.)
Definito
sprezzantemente il D’Annunzio delle dattilografe e delle manicure (Adriano
Tilgher), Guido Da Verona era tanto disprezzato dalla critica letteraria,
quanto amato dai lettori comuni, che faceva sognare proponendo loro un
irraggiungibile mondo fatto di ricchi aristocratici, luoghi esotici e passioni
peccaminose; un mondo che – lui sì – poteva permettersi di frequentare. Era un
emulo di D’Annunzio che ne riproponeva stile e temi, adattandoli e rendendoli
palatabili a un pubblico culturalmente poco provveduto. Un emulo che però
vendeva più del suo modello e che ebbe pure la soddisfazione di vedersi
plagiato dal maestro: la prima parte della tragedia – scritta in francese – Il
caprifoglio, 1913, di Gabriele D’Annunzio, assomiglia al romanzo La Vita
comincia domani, 1912, di Guido Da Verona.
La
predilezione di Guido Da Verona per la narrazione osée lo porta al
limite della blasfemia in Sciogli la treccia Maria Maddalena (1920),
dove la protagonista, un’inglese all’apparenza molto vissuta, è in realtà
ancora vergine, nonostante le insidie di un diacono e di una istitutrice. Scoprirà,
grazie a un uomo di mondo, le gioie del sesso sano solo a... Lourdes
(miracolo!). È troppo: il Sant’Uffizio mette all’Indice tutti i suoi libri.
Ma torniamo
all’aggressione del 1930. Il fattaccio è il culmine di una campagna contro
l’ultimo romanzo, appena pubblicato, di Guido Da Verona: I promessi sposi.
Sì, avete letto bene: I promessi sposi, di Alessandro Manzoni e Guido Da
Verona, come recita il sottotitolo. Con tanto di doppio ritratto in cornici
ovali: Manzoni a destra, Da Verona con uno dei suoi cagnolini a sinistra.
Fare una
parodia del padre linguistico della patria e del più grande romanziere
cattolico italiano, quando il governo fascista aveva appena firmato il
Concordato con la Chiesa, non era stata una buona idea: era stata una enorme
gaffe. Da Verona si ritrova tutti contro: il Partito (nonostante lui fosse un
fascista convinto), la Chiesa, la critica letteraria e, naturalmente, gli eredi
di don Lisander.
Le critiche si
appuntano sui contenuti blasfemi (una profanazione letteraria, secondo il
cardinale di Pisa, Pietro Maffi) e antitaliani (una continua beffa al film
italiano, alla politica demografica, alla Fiera campionaria, alle sigarette di
stato, alla quota 90, Cornelio di Marzio, Critica Fascista, gennaio
1930), nonché sulla mancanza di rispetto nei confronti di un padre spirituale
della patria (truffa letteraria goffa, puerile, irrispettosa e scurrile,
Enrico Manzoni, nipote dello scrittore).
L’unico a
toccare l’aspetto letterario è Adriano Tilgher, turbato da quello che è
l’arbitrio assoluto, l’insensatezza della parodia daveroniana [...] C’è la
stessa coerenza che si riscontra nelle filastrocche che recita Petrolini quando
fa Fortunello. Lì si ride perché c’è Petrolini. Qui Petrolini non c’è. (Il
popolo di Roma, 8 gennaio 1930.) Incoerente? Vero, ma si tratta di un divertissement,
e ai divertissements non si chiede necessariamente la coerenza. Manca il
genio linguistico di Petrolini? Falso: ci sono momenti di invenzione
linguistica deliziosi, a mio parere; ma di questo parleremo più avanti.
Solo Marco
Rambaldi ha il coraggio di difenderlo, sostenendo che I promessi sposi,
grazie a Da Verona entrano nella parodia, e cioè definitivamente nella
storia [...] No, Guido non ha arrecato ingiuria alla maestà di don
Lisander per tre motivi. Anzitutto perché non era possibile; poi perché non ci
aveva mai pensato e terzo perché Da Verona ha una sua dignità artistica che lo
stesso dannato libro recente nella sua arguzia ardita ma vivida conferma. (La
Stampa, 31 gennaio 1930).
Qualcuno passa
alle vie di fatto: l’8 gennaio 1930 una quindicina di studenti del Guf (Gruppo
Universitario Fascista) impone al direttore della libreria dell’Unitas (la casa
editrice), sita in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, di togliere il libro
dalla vetrina; vengono dispersi dalla polizia. La protesta, con un numero
maggiore di facinorosi, si ripete il giorno dopo: tre di loro vengono portati
in questura.
Alla casa
editrice viene imposto prima di cambiare la copertina del libro (su richiesta
di Enrico Manzoni), poi di ritirarlo dalla circolazione.
Guido Da
Verona viene sospeso dall’albo dei pubblicisti lombardi e gli saltano un paio
di contratti editoriali.
Nel 1932 si
produce nel suo ultimo exploit: in crisi economica, o di ispirazione –
forse per questo motivo era passato alla parodia, meditando di dedicarsi anche
a Dante, Molière e Collodi – nel 1932 ricicla un vecchio romanzo (La mia
vita in un raggio di sole, 1922), smembrandone le tre vicende e ricavandone
tre ‘nuovi’ romanzi: Il pazzo di Cadalaòr, Viaggio alla Mecca e Sarah
dagli occhi di smeraldo. È una chiara operazione commerciale,
coronata dal successo: il pubblico non l’ha abbandonato. A questi aggiunge un
nuovo romanzo (la Canzone di ieri e di domani, continuazione della Canzone
di sempre e di mai, 1931) e una raccolta di racconti (L’assassino
dell’albero antico). Cinque libri in un solo anno!
Ma
è l’ultimo fuoco d’artificio: il suo romanzo successivo (Patire fino alla
sete) viene sottoposto a un umiliante editing preventivo, per
smussarne le punte scandalose (lo scrittore è segnato dallo scandalo e la casa
editrice a cui viene proposto – Vitagliano? – non vuole correre rischi) ma,
nonostante questo, non sarà mai pubblicato. Nomen omen: Vitagliano = vi
tagliano.
Guido
Da Verona, che aveva sperperato tanti dei suoi guadagni sul tavolo da gioco,
scrive Il trattato delle possibilità impossibili con l’arte del gioco
(1934): ma riciclarsi da romanziere a esperto di teoria della probabilità non
può essere una scommessa vincente: il libro non ha successo.
Colui
che era stato uno degli scrittori più letti e più pagati d’Europa camperà
vendendo alla spicciolata le sue proprietà e con i proventi modesti di qualche
collaborazione giornalistica.
Ma passiamo
all’opera. Ringrazio la carissima amica, tanto brava quanto schiva, che me ne
ha preparato un riassunto, esigendo però che non si faccia il suo nome.
Guido Da Verona
I PROMESSI SPOSI: la trama
a cura della bella Innominata
1 – Don Abbondio è atteso lungo
la strada da due bravi, mandati dal signorotto locale don Rodrigo, che gli
intimano di non celebrare il matrimonio fra Renzo Tramaglino e Lucia Mondella,
previsto per il giorno successivo, compensandolo preventivamente per
l’obbedienza con una regalìa più modesta di quella che il parroco, e la sua
governante – nonché amante – Perpetua, si sarebbero aspettati.
2 – A Renzo, che si presenta
puntualmente il mattino dopo, don Abbondio raccomanda di rinviare il matrimonio
per chiarire voci inquietanti che circolano riguardo alle opinioni di Lucia in
materia di fedeltà coniugale. Perpetua tuttavia spiattella al giovane la
verità, al che Renzo s’infuria con il prete, reo ai suoi occhi di gestire in
proprio le rendite dei favori concessi dalle ragazze del paese ai ricchi di
fuori, mentre semmai la partecipazione agli utili spetterebbe ai legittimi
mariti o fidanzati. Per il momento, comunque, si rassegna a tornare dalla
promessa sposa a mani vuote.
3 – Lucia rivela al fidanzato e
alla madre Agnese che già da qualche tempo don Rodrigo la corteggia
assiduamente, offrendole passaggi in auto di ritorno dalla filanda in cui
lavora e profondendosi in complimenti e parole d’amore. Il signorotto però
difetta d’intraprendenza; forse se la ragazza fosse sposata la sua passione si
accenderebbe ulteriormente, promettendo di diventare più vantaggiosa. Urge
perciò il matrimonio. Agnese spedisce Renzo a Lecco, per un costoso quanto
inutile consulto con l’avvocato Azzeccagarbugli, e manda a chiamare dal
convento della vicina Pescarenico padre Cristoforo, confessore affezionato
della madre e soprattutto della figlia.
4 – Viene narrata la storia di
padre Cristoforo, già per il mondo Lodovico, diventato frate dopo che in
gioventù aveva accidentalmente provocato la morte di un gentiluomo col quale
stava litigando a proposito di una questione di precedenza stradale. Il nome
assunto con gli ordini dal neofrate rappresenta un omaggio al bassotto a motivo
del quale era iniziata la rissa fatale, cane che lo accompagnava ovunque, ma
non aveva potuto seguirlo in convento.
5-6 – Padre Cristoforo (molto popolare tra i fedeli del territorio
per la sua abilità nel gioco in borsa, oltre che per la reputazione di
sant’uomo) si reca nel palazzo di don Rodrigo con l’intenzione di convincerlo a
smettere di ostacolare il matrimonio. Il padrone di casa suggerisce che la
ragazza insidiata – della quale non viene fatto il nome – si affidi alla sua
protezione. Dinanzi al rifiuto sdegnoso e bellicoso del frate, gli sguinzaglia
contro tutta la servitù e gli sgherri a portata di mano, costringendolo alla
fuga, anche se uno degli assalitori ha il tempo di promettergli segretamente il
suo aiuto.
A casa di Lucia, intanto, Agnese
ventila la proposta di costringere con la forza don Abbondio a sancire il
matrimonio.
7-8 – Il frate torna dalle
protette e, come prova del successo della sua missione, riferisce, infiorandole
largamente, le generose offerte di don Rodrigo. Lucia sarebbe tutt’altro che
restia ad accoglierle, ma si sottomette all’autorità della madre e del
fidanzato e si presta al tranello del matrimonio a sorpresa, che però
contribuisce a mandare a monte non pronunciando la formula di rito necessaria a
renderlo valido.
Nel frattempo don Rodrigo ha
mandato i suoi a rapire Lucia, ma la casa è vuota, dato che tutti si trovano in
canonica proprio in quel momento.
La movimentata serata si conclude
con la fuga dei fidanzati e di Agnese, organizzata da padre Cristoforo. I tre
lasciano il paese navigando sul lago di Como, e Lucia piange, più che nel dare
l’ addio ai monti sorgenti dall’acque, al pensiero di rinunciare al benessere promessole
dal signorotto per seguire la sorte di uno spiantato come Renzo.
9-10 – I fuggiaschi raggiungono
l’esotica città di Monza e prendono alloggio nell’albergo più lussuoso, che
però si rivela decisamente troppo caro. Dunque Lucia e Agnese si trasferiscono
nel convento della Monaca di Monza, noto per la dissolutezza dei costumi delle
sue occupanti e dunque luogo adatto all’addestramento dell’ancora troppo
ingenua Lucia alle future avventure milanesi. Renzo intanto, dopo essersi
intrattenuto con una prostituta del luogo, si presume abbia preso a sua volta
la via di Milano, dove è stato indirizzato da padre Cristoforo a un suo collega
frate.
La Monaca, al secolo Gertrude, è
una dei molteplici figli del principe di Monza, la cui consorte si era sempre distinta
tanto per la varietà degli adultèri quanto per la prolificità. Fin da
piccolissima Gertrude segue l’esempio materno, fuori e poi dentro il convento,
ed è perciò a buon diritto obbedita e rispettata dalle altre monache, che si
sforzano di seguire il suo esempio.
11 – Don Rodrigo, venuto a
conoscenza del fallito rapimento e della fuga di Lucia, si ripromette di
risolvere in breve il contrattempo.
12 – Arrivato a Milano, Renzo è
subito frastornato dal movimento vorticoso della grande città, messa ancor più
in agitazione dall'incombere della carestia, che è una delle conseguenze della
guerra in corso. Il capitolo, che
si dilunga sulle vicende di una statua inesistente e su giochetti simili
all’insegna dell’assurdo, è
pressoché illeggibile.
13 – Scoppia la rivolta per il
pane, una sorta di spettacolo eseguito da circensi impazziti, da cui Renzo si
fa coinvolgere con slancio, data la monotonia della sua esistenza abituale.
14 – Dissipato il tumulto, Renzo
cerca un’osteria dove rifocillarsi. Lungo la via fa amicizia con Cesare
Beccaria – qui designato come inventore della pena di morte... – e Pietro
Verri. Anche il locale in cui i due lo
conducono è frequentato da numerose celebrità – milanesi e non – di ogni genere
ed epoca, da Gaspara Stampa ad Arturo Toscanini.
15 – A fine serata Renzo, ubriaco
fradicio, trova riposo e trastullo in una camera dell’albergo, in compagnia di
tale contessa Maffei. Il risveglio però non è altrettanto piacevole: un piccolo
gruppo di uomini armati è venuto ad arrestarlo, senza spiegazioni. Vestendosi
frettolosamente, il malcapitato indossa senza badarvi la gonna e il boa di
piume della contessa. Il convoglio della polizia incontra però un nuovo
assembramento di rivoltosi, al cui aiuto il giovane fa appello per darsi, con
successo, alla fuga.
16 – Renzo si allontana da Milano
con l’intenzione di raggiungere Bergamo, dove vive un parente di nome Bortolo
al quale intende chiedere rifugio e aiuto. Cammina a lungo senza sapere se si
trova sulla strada giusta, e quando osa chiedere indicazioni a un curato
incontrato per via, riesce a stento – e
con qualche rimpianto – a sfuggire al tentativo di violenza carnale da parte di
quest’ultimo, tratto in inganno dagli abiti femminili del giovanotto.
17 – Il cammino prosegue durante
una notte travagliata. Lasciata la via maestra, Renzo s’inoltra in un bosco,
fino a giungere alle rive di un fiume, che solo il mattino dopo, grazie alla
cortesia di un barcaiolo, saprà con certezza essere l’Adda, il corso d’acqua
che lo conduce infine felicemente a Bergamo, tra la braccia del cugino Bortolo.
18 – All’insaputa di Renzo, viene
spiccato contro di lui un mandato di cattura, da Milano a Lecco. Ne giunge
notizia al convento di Monza e a Lucia, molto indispettita nell’apprendere che
il fidanzato è riuscito a sfuggire gli sbirri e la condanna. Se infatti egli
fosse stato tolto di mezzo, la ragazza, a cui nel frattempo Gertrude cerca con
parziale successo di spalancare gli orizzonti dell’amore saffico, potrebbe
serenamente e comodamente diventare la mantenuta di don Rodrigo, nobile
decaduto ma sufficientemente agiato. Costui, intanto, continua a ordire
macchinazioni, sempre più eccitato al pensiero della bella popolana ora quasi
suora.
19 – Il conte Attilio, cugino
cittadino di don Rodrigo, ha fatto in modo che padre Cristoforo sia allontanato
da Pescarenico e spedito in un convento di Milano. Tolto di mezzo questo
ostacolo, il signorotto decide di affidare l’affaire Lucia a un sicario temibile quanto efficiente, indicato
come ‘Innominato’ per rispetto al Manzoni e alle sue fonti, benché se ne
conoscano benissimo le credenziali.
20 – Il castello dell’Innominato
ha l’aspetto di un museo degli orrori, ma l’ormai anziano proprietario sembra
già ben avviato al pentimento e alla redenzione dai propri peccati quando don
Rodrigo gli chiede il favore di consegnargli Lucia strappandola al convento di
Monza. Tuttavia l’interpellato accetta l’incarico, di semplicissima esecuzione,
dato che gli basta comunicare le sue intenzioni a Egidio, da sempre suo
compagno di scelleratezze, nonché amante di Gertrude. Seppure con rammarico,
data l’attrazione che in lei suscita la ragazza, la Monaca esegue le istruzioni
di Egidio: fa uscire con un pretesto dal convento Lucia, che quasi subito viene
fermata da una carrozza occupata da signori galanti, i quali, dopo un’amabile
conversazione in francese e la proposta di portarla con loro a Parigi e di
farne una stella della mondanità, la narcotizzano offrendole una sigaretta
drogata e la conducono alla dimora del padrone.
21 – Lucia si risveglia nel
castello dell’Innominato. In un primo momento è delusa per il mancato viaggio a
Parigi, ma si rianima subito alla vista del suo ospite che, lasciandosi sedurre
dalla determinatissima ragazza, contro ogni propria aspettativa ritrova i quasi
dimenticati ardori erotici della gioventù.
22-23 – Dopo una notte più che
soddisfacente trascorsa tra le braccia, e le gambe, di Lucia, l’Innominato si
reca a rendere omaggio al cardinale Federigo Borromeo, in visita pastorale
nelle vicinanze. Digressione tra l’ironico e il demenziale su biografia
e imprese del prelato, celebre nei
secoli nonostante la sua mediocrità, l’avarizia e l’ignoranza. I due uomini
fraternizzano subito e l’Innominato, manifestati al cardinale i suoi progetti
di ritorno senile sulla retta via, gli chiede aiuto per risolvere la questione
di Lucia senza sfigurare di fronte a don Rodrigo. Federigo convoca don
Abbondio, che fa anticamera insieme agli altri preti dei dintorni per rendere
onore al porporato, e gli ordina di seguire lo sconosciuto e spaventoso signore
che si trova in sua compagnia, di farsi affidare da lui Lucia e di tornare
immantinente al paese per celebrare il contrastato matrimonio.
24 – Lucia è tutt’altro che
entusiasta, anzi, non vuole proprio saperne di lasciare il maturo amante e gli
agi del palazzo per tornare al paese a sposare un insulso filatore di seta.
Solo la notizia che il celebre cardinal Federigo s’interessa a lei la convince
a seguire don Abbondio fino alla casa del modesto sarto in cui la madre Agnese
ha trovato ospitalità al ritorno da Monza. Lì le due donne si scambiano le
ultime nuove. Poco dopo le raggiunge il cardinale, che si apparta con Lucia.
Nel frattempo, l’Innominato è tornato al castello per organizzare la sua nuova
vita da sant’uomo, traendone i maggiori vantaggi possibili.
25 – Le tribolazioni di Lucia
vengono a conoscenza di una nobile coppia milanese in villeggiatura nei pressi
del paesino in cui abita il sarto. Si tratta di don Ferrante, letterato
ignorante e pomposo come si conviene ai suoi pari, e della moglie donna
Prassede, sempre smaniosa di conoscere i fatti altrui e di intromettervisi per
far del bene. La signora invita a casa propria Agnese e Lucia, chiede loro i
dovuti ragguagli, e offre alla sola ragazza ospitalità a Milano, in attesa che
le sia possibile ricongiungersi con il fidanzato. Agnese, rispedita a casa
propria da donna Prassede su un calesse, ha fatto per via incontri
interessanti: il cardinal Federigo, don Abbondio (il quale ha dovuto subire
un’altra interminabile lavata di capo per il suo rifiuto di sposare i promessi)
e infine un messo dell’Innominato, che le invia una grossa somma come dote per
la figlia.
26 – Eccitata dal denaro
ricevuto, Agnese ritorna precipitosamente dalla figlia. Lucia però le confida
di non potersi più maritare con Renzo, giacché ha fatto voto di rimanere
vergine – o, più precisamente, nubile – fino ai quarant’anni se verrà esaudito
il suo più grande desiderio, quello di diventare una diva del cinema a
Hollywood.
27 – Da Bergamo Renzo, sotto il
falso nome di Antonio Rivolta, riesce a far giungere sue notizie ad Agnese e,
per mezzo di lei, a Lucia, sempre ospite di donna Prassede e del marito.
Il tempo passa, nulla cambia, si
giunge dal 1628 al 1929 (...!).
Ma i grandi eventi pubblici stanno per coinvolgere e sconvolgere le vite private dei
protagonisti.
28 – Il Governatore di Milano,
dopo i recenti disordini, si persuade che la colpa di tutti i guai della città
è dei topi. Pertanto fa produrre una grande quantità di veleno, che ai milanesi
è fatto obbligo di comprare a caro prezzo. Costoro si ribellano all’imposizione
e il Governatore è costretto a ribassare il costo del topicida. Intanto però i
roditori, disturbati nella loro pacifica vita quotidiana dal timore delle esche
avvelenate, diventano estremamente combattivi e, anziché continuare ad
accontentarsi di abitare le cantine e cibarsi degli avanzi, muovono alla
conquista di tutte le vettovaglie cittadine. Mentre i topi si moltiplicano e
diventano sempre più aggressivi, chi ne ha la possibilità abbandona Milano e
cerca rifugio altrove, ma i più poveri sono costretti a rimanere. All’inizio
della primavera (ora l’anno è diventato improvvisamente il 1648) alle
altre sciagure si aggiunge lo scoppio di un’epidemia d'influenza, chiamata
‘spagnola’ perché a Milano dominano appunto gli Spagnoli, e successivamente
trasformata in ‘peste’ per colpa di un medico che l’ha così definita.
Il susseguirsi di calamità ha a
questo punto l’effetto di una promozione pubblicitaria per la città di Milano;
da ogni parte accorrono forestieri, che ben presto cadono a loro volta vittime
di carestia ed epidemia. Una grande sala cinematografica in costruzione viene
trasformata in tutta fretta in lazzaretto, un luogo di soggiorno tanto
confortevole e divertente da far sì che chi vi è entrato non voglia più
uscirne, se non da morto.
A rovinare tutto ci si mette la
politica, con le intricatissime conseguenze della guerra per la successione nel
ducato di Mantova. Il Governatore di Milano viene destituito, e in Lombardia
irrompe l’esercito dei lanzichenecchi alemanni.
29-30 – Terrorizzati dall’arrivo
delle truppe germaniche, don Abbondio parte con Perpetua e Agnese per chiedere
asilo all’Innominato, ma trovano il castello trasformato in un grande e
affollatissimo hotel, che prospera grazie al gran numero di rifugiati a
pagamento.
Quando il passaggio dell’esercito
si è compiuto, i fuggitivi riprendono la via di casa, e si trovano ovunque
circondati da distruzione e rovine.
31-32 – Parodia della descrizione della pestilenza del 1630 a Milano e
delle digressioni su cause, errori medici e politici, attribuzione irrazionale
di responsabilità. La peste non è mai esistita: come tutte le altre malattie, è
un’invenzione dei medici. Chi muore, muore per altre cause; gli untori fanno semplicemente
abuso di cosmetici. In compenso, nel panico generato in città dalle false
notizie, prosperano i trafficanti di cocaina.
33-34 – Dopo una serata passata
al solito gozzovigliando con gli amici e gli sgherri, don Rodrigo si ammala:
peste, o più probabilmente sifilide, date le sue attitudini amorose.
Mentre si svolgevano gli eventi
riferiti, Renzo (dimenticato per molto tempo dall’autore), sempre sotto falso
nome, è tornato a Milano ed ha aperto un'agenzia di cambio in società con padre
Bonaventura, il francescano a cui l’aveva inizialmente indirizzato padre
Cristoforo. Anche lui si ammala di peste (?) e, una volta guarito, è
preso dal desiderio di rivedere Lucia: si dirige perciò verso Lecco e il paese
natale, sperando che almeno Agnese possa dargli notizie della ragazza. Agnese
non è lì. Renzo incontra invece don Abbondio, anche lui convalescente, e
rimasto solo, dopo che Perpetua, innamorata pazzamente di Rodolfo Valentino per
averlo veduto in un film nel nuovo cinematografo – che è stato la vera rovina
del paese – si è suicidata buttandosi dalla cima del Resegone alla notizia
della prematura morte dell’attore. Constatata l’inutilità del suo viaggio, il
giovane speculatore torna a Milano. In città, muovendosi con circospezione
perché sa di essere doppiamente ricercato – per reati politici come Renzo
Tramaglino e per bancarotta fraudolenta sotto il falso nome di Antonio Rivolta
– si dà alla ricerca della casa di don Ferrante e donna Prassede, sperando che
Lucia si trovi ancora con loro.
35 – Mentre si avvicina
all’edificio finalmente rintracciato, Renzo viene preso dalla folla per un
untore. A salvarlo dal probabile linciaggio è Lucia, che apre il portone
pensando si tratti di uno dei clienti abituali a cui, insieme ad altre giovani
donne, dispensa favori remunerati con la compiacente ospitalità e la
supervisione organizzativa e finanziaria di donna Prassede. Quando riconosce
Renzo, Lucia (che forse, se avesse saputo trattarsi di lui, non avrebbe mai
aperto) sviene per lo sbalordimento. Nel parapiglia che ne segue, da una delle
stanze della casa spunta don Rodrigo. Renzo fa per scagliarsi su di lui armato
di un coltellino a serramanico, l’altro sfodera una pistola. Ma il duello viene
rimandato, e don Rodrigo lascia il bordello momentaneamente riconciliato con il
rivale.
36 – Constatato che è sempre un
bel ragazzo, e soprattutto che ora è diventato ricco, Lucia si mostra molto più
disponibile e affettuosa che in passato con l’antico fidanzato. C’è però il
problema del voto da lei fatto, di rimanere vergine appunto solo con Renzo.
L’ostacolo viene felicemente aggirato grazie a un’idea dello scaltro giovane e
alla larghezza di vedute del cardinale Federigo, al quale i due subito
telefonano per sottoporgli una proposta di soluzione, prontamente accettata: Lucia
sarà dispensata dal voto riguardo a Renzo, e in cambio fornirà una lista di
venticinque nomi di uomini coi quali da ora in poi manterrà la castità.
37 – Il giorno dopo Renzo torna
in ufficio, ma viene lì raggiunto da due signori che gli ricordano il duello
con don Rodrigo e lo invitano a scegliere a sua volta i propri secondi.
Sbrigata rapidamente questa incombenza, il giovane si reca in auto nel paese in
cui sa trovarsi Agnese, per darle notizia della commutazione del voto fatto da
Lucia e chiederla ancora una volta, con grandi solennità e cerimoniosità – e
addirittura autonominandosi conte – in sposa.
38 – Tutti si radunano nuovamente
al paese per il matrimonio. Don Abbondio, tuttavia, è ancora terrorizzato da
don Rodrigo. Renzo gli fa credere che sia morto in duello, ma l’altro non è del
tutto convinto. Arrivano anche i padrini di Renzo a informarlo che don Rodrigo
non potrà presenziare al duello effettivamente programmato per quel pomeriggio,
giacché è morto di peste un mese prima (un’altra delle innumerevoli assurdità; oppure don Rodrigo cerca con una
menzogna di salvare la pelle?). Finalmente il curato crede alla (doppia)
morte di don Rodrigo, e si dà il via ai
preparativi per le nozze. Le sorprese tuttavia non sono finite: giunge in paese
un cavaliere che, dopo essersi presentato come marchese di Cognac Martell,
dichiara di essere pronipote ed esecutore testamentario di don Rodrigo, il
quale ha lasciato in eredità ai due fidanzati il territorio di Lecco. Nel
giubilo generale, il Cognac Martell richiede a Lucia di riconoscergli lo jus primae noctis. La leale promessa
sposa subordina il consenso al permesso del futuro marito, che lo concede senza
difficoltà ma dietro adeguata retribuzione in denaro.
Espletata anche questa bisogna,
la domenica successiva viene finalmente celebrato l’attesissimo matrimonio di
Renzo e Lucia, che tanto inchiostro ha fatto spandere.
Prima della fine dell’anno nasce
una bella bambina – difficile
attribuirne la paternità – e la vita prosegue tranquilla, con Lucia di nuovo trasformata
in brava massaia, sempre più tondeggiante e pacifica, piacevolmente indulgente
anche nei riguardi delle avventure del marito.
Toccherebbe
ora analizzare l’opera, ma direi che per oggi è meglio fermarci qui. Ne
parleremo la prossima volta.
A presto, miei
diletti.
Enzo Magrì, Guido Da Verona,
l’ebreo fascista, Cosenza, Luigi Pellegrini editore, 2005.
Ampia e
documentata biografia di Guido Da Verona, con trame delle sue opere, analisi,
estratti di critica dell’epoca.
Letture consigliate
Guido
Da Verona, I promessi Sposi
Mercato antiquario: le
edizioni originali – soprattutto la prima, con i ritratti di Da Verona e
Manzoni – sono
rare, ma non introvabili; sconsiglio l’edizione della casa editrice La Vela,
1976, piena di errori tipografici.
Librerie: sono disponibili
due riedizioni:
– 2008,
Otto/Novecento, 16 euro;
– 2012,
Barbera, 11,90 euro.
Librerie digitali: il
testo digitalizzato è scaricabile, gratuitamente, in Liber liber:
TI È PIACIUTO?
Condividilo con gli amici usando i tasti sottostanti e soprattutto consigliandolo con Google +1 (tasto g +1). Se consigli i miei articoli con Google +1, migliori il mio posizionamento nel motore di ricerca: grazie in anticipo.
Condividilo con gli amici usando i tasti sottostanti e soprattutto consigliandolo con Google +1 (tasto g +1). Se consigli i miei articoli con Google +1, migliori il mio posizionamento nel motore di ricerca: grazie in anticipo.
HAI QUALCHE OSSERVAZIONE DA FARE?
Un tuo commento sarà molto gradito.
Interessante!
RispondiEliminaNon perderti la prossima puntata (fra un paio di settimane, più o meno), nella quale analizzerò il testo.
Elimina