domenica 15 novembre 2015

LO ZECCHINO D’ORO: IL COCCODRILLO COME FA? ovvero PARTIRE DA UN’IDEA


A commentare i canti di Dante si sono messi in tanti; a commentare le canzoni dello Zecchino d’Oro non si è messo nessuno: tranquilli, ci penso io.

Oggi tocca a:

IL COCCODRILLO COME FA?
Testo: Oscar Avogadro – Musica: Pino Massara

Cantano: Carlo Andrea Masciadri (il bambino grande) e Gabriele Patriarca (il bambino piccolo)
36° Zecchino d’Oro, 1993.



Bambino grande:
Oggi tutti insieme
cercheremo di imparare
come fanno per parlare
tra di loro gli animali.


Bambino grande:

Come fa il cane?
Bambino piccolo:
Bau! Bau!
Bambino grande:

E il gatto?
Bambino piccolo:
Miao!
Bambino grande:

L’asinello?
Bambino piccolo:
Ih oh! Ih oh!
Bambino grande:

La mucca?
Bambino piccolo:
Muuu!
Bambino grande:

La rana?
Bambino piccolo:
Cra! Cra!
Bambino grande:

La pecora?
Bambino piccolo:
Beee!
Bambino grande:

E il coccodrillo?
Bambino piccolo:
... (Apre la bocca ma non emette suoni)
Bambino grande:
E il coccodrillo? 
Coro:
Boh!

Bambino piccolo:
Il coccodrillo come fa?
Non c’è nessuno che lo sa.
Si dice mangi troppo,
non metta mai il cappotto,
che con i denti punga,
che molto spesso pianga.


Bambino grande:
Però quand’è tranquillo
come fa ’sto coccodrillo?


Bambino piccolo:
Il coccodrillo come fa?
Non c’è nessuno che lo sa.
Si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla
e mezzo addormentato se ne va.
 

Bambino grande:
Guardo sui giornali,
non c’è scritto niente:
sembra che il problema
non importi alla gente.
Ma se per caso al mondo
c’è qualcuno che lo sa,
la mia domanda
è ancora questa qua:

il coccodrillo come fa?

Bambino piccolo:
Non c’è nessuno che lo sa.
Si dice mangi troppo,
non metta mai il cappotto,
che con i denti punga,
che molto spesso pianga.


Bambino grande:
Però quand’è tranquillo
come fa ’sto coccodrillo?


Bambino piccolo:
Il coccodrillo come fa?
Non c’è nessuno che lo sa.
Si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla
e mezzo addormentato se ne va.


Bambino grande:
Adesso ripetiamo,
se vogliamo ricordare,
come fanno per parlare
fra di loro gli animali.
Come fa il cane?


[...]

e mezzo addormentato se ne va. 

Bambino grande:
Avete capito
come fa il coccodrillo?
 


Bambino piccolo:
Lui mezzo addormentato se ne va!

(Ascolta e guarda la versione dal vivo di Carlo Andrea Masciadri e Gabriele Patriarca cliccando qui) 
(Ascolta e guarda la versione de I Cartoni dello Zecchino d’Oro vol. 4 cliccando qui


Il coccodrillo come fa?
libro + CD, Roma, Gallucci editore, 2007,
disegni di Giorgio Cavazzano.

Tutti conoscono la canzone Nella vecchia fattoria, e tutti conoscono i versi degli animali. Sicuri? E il coccodrillo come fa? Qui sta l’idea (che invidio a Oscar Avogadro) della canzone. Ma per scrivere una canzone non basta un’idea: ci vuole una storia. Allora, che fare?

Avogadro aveva due strade:

1 – procedere per associazione di idee;

2 – cercare
a – rime o
b – assonanze/consonanze
e vedere cosa se ne poteva ricavare.

Vediamo cosa ne è uscito:
1 – “lacrime di coccodrillo” (il coccodrillo mangia troppo e poi piange).

C’è qualche altra associazione possibile? No. Pazienza, passiamo al punto 2, cercando rime o assonanze/consonanze con coccodrillo, troppo, piange:

2a – coccodrillo: tranquillo (tranquillo? come il torero Camomillo! → camomilla: strilla)
→ Però quand’è tranquillo
come fa ’sto coccodrillo?

→ Si arrabbia ma non strilla,
sorseggia camomilla


2b – mangia troppo: cappotto
→ Si dice mangi troppo,
non metta mai il cappotto,
piange: punge
→ che con i denti punga,
che molto spesso pianga.


Tutto qua? Tutto qua. Però, che invidia!


SITI INTERNET:

http://it.wikipedia.org/wiki/Zecchino_d%27Oro 
Pagina di Wikipedia sullo Zecchino d’Oro.


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domenica 18 ottobre 2015

ALFREDO CASTELLI ovvero L’OMINO BUFO





(Dal Corriere dei Ragazzi)


(Da Lupo Alberto o Cattivik)



ALFREDO CASTELLI
(Milano, 26 giugno 1947 – vivente)
(da Wikipedia, caricamento originale: Castellin)

In casa eravamo due fratelli e quattro sorelle: il giornalino a cui eravamo abbonati, e che ci contendevamo quando arrivava, era il Corriere dei Piccoli, diventato nel 1972, in seguito a un referendum fra i lettori, Corriere dei Ragazzi. A distanza di decenni, uno dei miei ricordi più nitidi di quel giornalino sono i fumetti dell’Omino bufo. Fatto paradossale, perché si trattava del fumetto più programmaticamente disegnato male di tutto il giornale, e, soprattutto, caratterizzato da un umorismo spudoratamente basato su giochi di parole tremendi, di una stupidità insuperabile.
Ricordo perfettamente la prima gag a colori che vi venne pubblicata (CdR n. 14, 1972): un omino definito buffo (ma avrebbe perso presto la doppia F) che scivolava su una buccia di banana; commento: Ah, ah, ah! Che ridere! Il tutto era preceduto dalla seguente didascalia:
SIAMO SPIACENTI DI COMMUͶICARE CHE I DISEGNATTORI E GLI SEͶEGGIATTORI DI TILT SONO IN SIOPERO, PERCIÒ LA RUBBRICA È STATA AFIDATA A DEI PITORI CHE DIƧEGNAVANO SANTINI SUI MARCIAPPIEDI . (In seguito i generici “pitori” da quattro soldi si unificarono nella figura dello sciagurato “Pitore di Santini”; erano altri tempi: oggi i madonnari sono tecnicamente bravissimi.)


Il creatore era Alfredo Castelli (che in seguito avrebbe ideato e sceneggiato, fra l’altro, Martin Mystère), che racconta così la nascita della prima striscia: Controllando la ciano del settimanale, mi ero reso conto che era scomparso il logo della pagina delle vignette. L’impaginazione elettronica era al di là da venire: anziché di file si faceva uso di pellicole; quando se ne perdeva una, come in quel caso, occorreva rifarla con grande perdita di tempo, e c’era fretta. Nacque così la prima strissia comica: un omino dalla risata esagerata presentava un messicano che invitava al silenzio indicando una noce, soggiungendo: El silensio della noce!


L’unica differenza con la battuta di Vianello da cui la gag era stata copiata era l’ultima vignetta con la frase “Che ridere, che ridere!” pronunciata da un omino che sghignazzava sgangheratamente. La vignetta in questione aveva lo scopo di allungare il disegno portandolo alla misura necessaria, ma schiere di sociologi […] – soggiunge scherzando Castelli nella sua semiseria rievocazione del personaggio – sostennero che essa aveva un ruolo demitizzante, in quanto ironizzava metafumettisticamente sulla stupidità della battuta stessa; insomma, una sorta di “doppia lettura”, la prima immediata e la seconda più critica. In ogni caso la vicenda era destinata a rimanere senza seguito, e invece, subito dopo la pubblicazione, cominciarono a giungere decine lettere di lettori che proponevano nuove strisce di loro invenzione.
E così il personaggio dell’ Omino bufo continuerà a comparire nel Corriere dei Ragazzi fino al 1975, trasferendosi poi a Lupo Alberto (1984) e a Cattivik (1992). Nel 1993 Castelli, dopo 52 strisce,  passerà il testimone a Francesco Artibani, che ne realizzerà altre 601.

Perché fa ridere l’Omino bufo?
L’osservazione di Castelli sul doppio livello di lettura è pertinente: noi leggiamo l’Omino, che legge la striscia. Questo introduce un elemento di distanza: è l’Omino a ridere della battuta, non noi, che siamo troppo intelligenti per farlo; noi ridiamo della sua stupidità. Il che è senz’altro vero, ma spiega solo in parte l’effetto comico delle strisce e il loro successo. Ci dev’essere dell’altro.
Il funzionamento dell’umorismo, come pure dell’opera d’arte e della scoperta scientifica, è basato su quello che Edward De Bono chiama pensiero laterale: il risultato del processo creativo non è ricavabile meccanicamente dalle premesse, con un algoritmo; però, a posteriori, appare il più logico e coerente. Logico, ma imprevedibile. La differenza dell’umorismo rispetto alle altre forme creative sta nel fatto che la sua logica funziona, ma solo apparentemente, perché porta a conclusioni
– paradossali:
“Scusi, perché ha un cetriolo nell’orecchio?”
“Parli forte! Non vede che ho un cetriolo nell’orecchio?”
– o fallaci:
“Mia moglie si crede una gallina.”
“La faccia curare.”
“Bravo, e  poi chi mi fa le uova?”
– o basate su un equivoco:
Due carabinieri, salendo lo Stelvio, leggono il cartello Qui comincia la neve perenne; allora uno fa all’altro: “Appuntato, pure a Caltanissetta la neve comincia per N!”)
– o sproporzionate e inutilizzabili:
“Ho la casa invasa dai topi e non riesco a liberarmene: tornano sempre”
“Avevo anch’io lo stesso problema, ma l’ho risolto definitivamente.”
“E come hai fatto?”
“Ho dato fuoco alla casa.”

Nelle strisce dell’Omino bufo è proprio l’imprevedibilità a far funzionare la battuta finale che, presa da sola, sarebbe (come minimo) fiacca (e che, nel contesto, appare perfettamente logica).
A questo si aggiunge:
– la sproporzione fra lo sforzo di inventare e disegnare una storia solo per giustificare un gioco di parole altrimenti impresentabile o addirittura inutilizzabile;
– la curiosità masochistica del lettore ansioso di constatare a quali abissi di stupidità lo porterà il fumettista.
E, certo, la nota patetica dell’omino che cerca ingenuamente di potenziare l’effetto comico informandoci che si tratta di qualcosa di molto bufo, non è ininfluente –anzi! – sull’effetto finale.

Rendere utilizzabili le battute che chiunque altro avrebbe cestinato per la loro stupidità, farci ridere senza vergogna delle battute più insulse: questo è riuscito a fare Alfredo Castelli: chapeau.


SITI INTERNET
Pagina di Wikipedia dedicata all’Omino bufo.

Pagina di Wikipedia dedicata ad Alfredo Castelli.

Pagina di Biografieonline dedicata ad Alfredo Castelli.


Pagina di Wikipedia dedicata al Corriere dei Piccoli.



LETTURE CONSIGLIATE
Se siete arrivati fin qui in fondo senza storcere il naso, vi consiglio i seguenti testi (da cui ho ricavato le notizie sull’Omino bufo e le citazioni di Alfredo Castelli):
– Alfredo Castelli, Francesco Artibani, L’OMINO BUFO! . L’INTEGRALE. AL PAGGIO NON C’È MAI FINE. Le strip di Castelli a Artibani pubblicate su Lupo Alberto e Cattivik dal 1984 al 2001 – Strisce 1/378, Modena, Panini Comics, 2013.
Contiene anche la prima striscia e la prima tavola a colori del Corriere dei Ragazzi.
– Alfredo Castelli, Francesco Artibani, L’OMINO BUFO! . L’INTEGRALE. AL PAGGIO NON C’È MAI FINE. Le strip di Castelli a Artibani pubblicate su Lupo Alberto e Cattivik dal 1984 al 2001 – Volume 2. Strisce 379/653, Modena, Panini Comics, 2013.
Contiene anche 38 strisce dal Corriere dei ragazzi 1972-1973 (non 39 come dichiarato, perché una, per errore, è ripetuta due volte).
In realtà non si tratta di una vera integrale, perché le 38 strisce del Corriere dei Ragazzi sono solo una parte di quelle a suo tempo pubblicate: manca per esempio la striscia colori su Dracula e le mente, che ricordo bene. Tale striscia fu rifatta poi in seguito in bianco e nero per Lupo Alberto o Cattivik, come pure fu rifatta quella del silensio della noce.


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domenica 6 settembre 2015

LO ZECCHINO D’ORO: LA FAVOLA DELLA GATTA MIAGOLA ovvero GIRARE A VUOTO



A commentare i canti di Dante si sono messi in tanti; a commentare le canzoni dello Zecchino d’Oro non si è messo nessuno: tranquilli, ci penso io.
Oggi tocca a:

LA FAVOLA DELLA GATTA MIAGOLA
testo: Fiorenzo Fiorentini – Musica: Mario Pagano

Cantata da: Elisabetta Bambini, Ivana Benedetti e Antonella Fazio
Zecchino d’Oro, 1964.



Solista:
Un giorno una trottola
mi raccontò una favola,
girando, girando,
dicendomi così:


Coro:

Io so la favola
della gatta Miàgola
della Circuìta:

vuoi che te la dica?
 

Sì!
 

Solista:
Se tu dicevi “no”,
io ti avrei raccontato

Coro:

la favola
della gatta Miàgola
della Circuìta

vuoi che te la dica?

No!

 

Solista:
Se tu dicevi “sì”,
invece hai detto “no”,

io ti avrei raccontato

Coro:

la favola
della gatta Miàgola
della Circuìta:

vuoi che te la dica?

Sì!

 

Solista:
Adesso hai detto “sì”:
se avessi detto “no”,
invece hai detto “sì”,

io ti avrei raccontato

Coro:

la favola
della gatta Miàgola
della Circuìta:

vuoi che te la dica?

È questa, signori la vita:
una favola bella e infinita.
Se dovrai dire “sì”,
se dovrai dire “no”,
imparerai
ma da me non lo saprai
mai, mai.


Solista:

Io so quella favola
che sempre mi raccontano
le trottole che girano,
girando mi raccontano


Coro:

la favola
della gatta Miàgola
della Circuìta:
 
vuoi che te la dica?
Vuoi che te la dica?

Forse la dirò!
Forse la dirò!
Sì! No!
Sì o No!


(Ascolta la versione registrata cliccando qui.) 




La favola della gatta Miagola: c’è qualcuno di voi che se la ricorda? Pochi, temo. Eppure, per quel che mi riguarda, da bambino mi impressionò molto:
1 –Che voleva dire “gatta miagola”? Una gatta che ha per nome la terza persona di un indicativo presente? Perché non “gatta che miagola” (se è un verbo) o “gatta Miagolina/Miagolona (se è un nome)?
2 – Cos’era quella misteriosa “Circuìta”? Sapevo del circuito di Monza, e forse anche del corto circuito... (Non ancora di femmine circuite!).
3 – Ma soprattutto: che senso aveva quel tira e molla fra il “sì” e il “no”? Nessuno!

Infatti: quel tira e molla non ha senso; ma non è un’invenzione di Fiorenzo Fiorentini: è uno schema circolare, tipico di alcune filastrocche popolari. Ecco un paio di esempi particolarmente attinenti:

La novella dello stento
che dura tanto tempo
la vuoi sentì?

non si dice sì alla novella dello stento
che dura tanto tempo
la vuoi sentì?
no
non si dice no
alla novella dello stento
che dura tanto tempo
la vuoi sentì?
(Firenze)
(da: Gandini, Lella (a cura di), Ambarabà, Milano, Emme Edizioni, 1979)

La fola de l’oca
l’è bèla s’ l’è poca
dzì v’ l’òj da contar?

sti miga dir ’d sì
perché la fola de l’oca
s’ l’è longa l’è siòca
saltèmmla ne v’ par?
no
sti miga dir ’d no
perché se de l’oca
l’è bela bombén
v’ la digghja putén?

sti miga dir ’d sì.
(Parma)
(da: Gandini, Lella (a cura di), Ambarabà, Milano, Emme Edizioni, 1979)

Ed è proprio lo schema circolare che fornisce l’idea dell’incipit, con la trottola che finge di voler narrare. La frustrazione dell’ascoltatore, invece, suggerisce la morale finale sulla vita, intessuta di prove e di errori.

Per il corpo della canzone il romano Fiorenzo Fiorentini invece non ha dovuto inventare proprio niente: gli è bastato riprendere, quasi pari pari, un tormentone delle sue parti:

LA GATTA MÀVOLA

– Questa è la favola de la gatta màvola de la circuita: volete che vve la dica?
– Sì.
– Nun se dice de sì; perchè questa è la favola de la gatta màvola de la circuita... volete che vve la dica?
– No.
– Nun se dice de no; perchè la favola de la gatta màvola de la circuita... volete che vve la dica?
– Come ve pare.
– Nun se dice come ve pare ; perchè la favola de la gatta màvola de la circuita... volete che vve la dica?
– Ma perdi er fiato.
– Nun se dice perdi er fiato ; perchè la favola de la gatta màvola de la circuita... volete che vve la dica?
– Nun ce scocciate.
– Nun se dice nun ce scocciate: perchè la favola de la gatta màvola de la circuita... volete che vve la dica?
– ecc. ecc.

Questi scherzi sono scappatoie che si mettono in uso, parecchie volte, allorché dà noia il raccontare la favola. Alla fine, seguita la solita storia.


(Giggi Zanazzo, Novelle, Favole e Leggende romanesche, Torino-Roma, Società Tipograficoeditrice Nazionale Già Roux e Viarengo, 1907)


(Ricavo questa citazione dal blog (clic) di Valerio Sampieri, che ringrazio.)
 

Si tratta dunque di un nonsense popolare, dove le parole sono accostate più per esigenza di rima (favola / màvola) o assonanza (circuita / dica) che di significato, il che giustifica le stranezze lessicali. Ma a me qualche dubbio rimane:
1 – Da nordico chiedo aiuto a quelli fra voi, miei diletti, che sono di Roma: “màvola” significa “miagola”? Sembrerebbe di no (non trovo niente in Internet). È allora una parola inventata, che Fiorentini sceglie di normalizzare in “miagola”?
2 – Ma soprattutto fatemi sapere, vi scongiuro: cos’è questa benedetta “circuìta”? 


SITI INTERNET:

http://it.wikipedia.org/wiki/Zecchino_d%27Oro 

Pagina di Wikipedia sullo Zecchino d’Oro.


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