giovedì 20 settembre 2012

TOTÒ E GUSTAVO DE MARCO, ovvero IL BEL CICCILLO




Il bel Ciccillo è una macchietta “creazione di Giovanni Mongelluzzo” (così recita l’intestazione dello spartito) su versi di A. Trusiano e musica di Salvatore Capaldo. La macchietta fu ripresa da Gustavo De Marco (Napoli, 1883 – ivi, 1944) e poi da Totò (Napoli, 1898 – Roma, 1967), che iniziò la carriera proprio come suo imitatore. Di De Marco ci sono pervenute, oltre a qualche fotografia, solo un paio di incisioni discografiche dalle quali traspare il suo gusto per i giochi di parole e per i doppi sensi, nonché la sua abilità negli scioglilingua. I ricordi di chi l’ha visto non fanno che accrescere il rimpianto di non avere alcuna registrazione cinematografia delle sue performances.
Così Peppino De Filippo ricorda Totò e De Marco:
Il mio primo incontro con lui [Totò] risale nientemeno che al 1918 o ’19. [...] Fui attratto da un manifesto che diceva così: Questa sera (a caratteri grandi) il comm. Gustavo De Marco (e sotto, a caratteri piccolissimi) imitato da Totò. [...] Gustavo De Marco, macchiettista, contorsionista, trasformista e « Marionetta vivente ». Questa ultima qualità gli proveniva dal fatto che sapeva imitare alla perfezione i movimenti dei « pupi ». [...] Ad un certo punto pareva che si snodasse nelle ossa e nelle membra, fino ad assumere atteggiamenti « marionettistici », così paradossali da suscitare nel pubblico i più clamorosi consensi. Ad un determinato momento della sua esibizione, quando il ritmo si faceva più frenetico che mai, qualcuno dalla platea o dal loggione, gli gridava: « Asso ‘e spade... » (asso di spade). Bene, De Marco si fermava di colpo in tutta la persona assumendo improvvisamente, per quanto possibile, la figura geometrica della carta « asso di spade » che fa parte del « mazzo » di carte da gioco napoletane. Progressivamente, poi, si metteva a girare su se stesso fino a raggiungere un ritmo vertiginoso, tanto da sembrare una trottola.
E così De Marco è ricordato da Totò:
Il suo modo caratteristico di recitare consisteva in vivaci macchiette presentate secondo la moda del tempo. Ma, dove eccelleva e trascinava il pubblico al delirio, era nei finali delle sue macchiette. essi erano costituiti da danze sincronizzate da gesti del corpo e da mosse e smorfie del viso al ritmo di piatti e grancassa, con una perfezione tale da eccitare l’invidia e l’ammirazione di un acrobata di professione (da Siamo uomini o caporali?)
Se la versione di De Marco non fu mai documentata cinematograficamente, la versione di Totò fu invece registrata, molti anni più tardi e in versione ridotta, nel film Yvonne la nuit (regia di Giuseppe Amato, 1949).


IL BEL CICCILLO
(Giuseppe Capaldo – A. Trusiano)
Versione cantata da Totò (clic)


Io di nome mi chiamo don Ciccio
e mi firmo don Ciccio Salciccio;
in ovunque m’impaccio e m’impiccio,
dove vado vi faccio un pasticcio,
e così per un puro capriccio
don Ciccio Salciccio
mi sento chiamar.


Vo sempre un biroccio,
somiglio a un bamboccio,
dal mulo e dal ciuccio
mi faccio tirar.

In estate vo a caccia,
d’inverno in barcaccia;
di nulla mi cruccio,
mi faccio ammirar.

Ciccio qua,
Ciccio là,
Ciccio all’anema e
baccalà

Son bello e son ricco,
le donne le scaccio,
ma dopo di averle
ridotte uno straccio
don Ciccio Salciccio
pallottola in mano
’sti figli di cane
mi stanno a chiamar.

C’è la moglie del conte Borraccia,
bella e buona di corpo e di faccia,
che sovente al mio cuore s’allaccia,
quasi folle mi graffia la faccia
e sono certo che questo mi spaccia
perché tutti i giorni mi fa consumar.

Se il conte ci incoccia
ci rompe la boccia,
ben presto il capriccio
può farci passar.

Lei mi chiama mio Ciccio,
don Ciccio Salciccio,
facciamo il pasticcio,
mi fai morir!

Ciccio qua,
Ciccio là,
Ciccio all’anema e
baccalà

Son bello e son ricco,
le donne le scaccio,
ma dopo di averle
ridotte uno straccio
don Ciccio Salciccio
pallottola in mano
’sti figli di cane
mi stanno a chiamar.
[2 volte]


Caratteristica de Il Bel Ciccillo sono le ossessive rime assonanti: -iccio, -occio/a, -uccio, accio/a, che ne fanno una specie di leporeambo allegramente anarchico. Altre canzoni-macchietta faranno uso di questo espediente: si veda ad esempio Mazza, Pezza e Pizzo... (versi di Gigi Pisano, musica di Giuseppe Cioffi, 1936) interpretata da Nino Taranto (clic) e da Carlo Buti (clic). Ma siamo ben lontani dal ritmo forsennato che rende Il bel Ciccillo un vero e proprio scioglilingua, dove il delirio sonoro tende a prevalere sulla comprensione del testo. E siamo ben lontani dall’astrattezza delle geometrie gestuali, che integrano e potenziano l’astrattezza del gioco verbale.

Questa è la versione completa della canzone, ascoltabile nell’interpretazione di Gianni Lamagna (più “cantata” di quella di Totò).

IL BEL CICCILLO

(Giuseppe Capaldo – A. Trusiano)
Versione cantata da Gianni Lamagna (clic)

Io di nome mi chiamo don Ciccio
e mi firmo don Ciccio Salciccio;
io dovunque m’impaccio e m’impiccio,
ove vado vi faccio un pasticcio,
e così per un puro capriccio 
don Ciccio Pasticcio
mi sento chiamar.
 
Vado sempre in biroccio,
somiglio a un bamboccio,
dal mulo e dal ciuccio
mi faccio tirar.
 
All’interno me caccio 
per stare in barcaccia, 
di nulla mi cruccio,
mi faccio ammirar.
 
Vieni a me
mio bebè,
sento dir
chissà perché!
 
Son bello e son ricco,
le donne le scaccio,
ma dopo di averle
ridotte uno straccio,
ognuna la testa
vuol perdere invano
per Ciccio Pasticcio,
pallottola in mano.
 
Al paese ho un grandissimo spaccio
con fossate di neve e di ghiaccio,
con ricchezze: è per questo che faccio
tutti quanti cadere nel laccio;
tengo sempre a portata di braccio 
trecento donnine che muoion d’amor.
 
Sul mio cuore di roccia        Il mio cuore è di roccia,
l’amore non sboccia:           l’amore lo scoccia
giammai una breccia
su lui si può far.
 
Se una bionda o una riccia
per me s’incapriccia,
l’idillio che intreccia
non deve durar.
 
Vieni a me
mio bebè,
sento dir
chissà perché!
 
Signore e cocotte
mi cadono in braccia
e tutte disprezzo
siccome cartaccia;
ognuna la testa
vuol perdere invano
per Ciccio Pasticcio
pallottola in mano.
 
C’è la moglie del conte Borraccia,
bella e buona di corpo e di faccia,
che al mio cuore sovente si allaccia,
così folle mi graffia, mi straccia;
sono certo che questo mi spaccia
perché tutti i giorni mi fa consumar.
 
Ma se il conte c’incoccia
ci rompe la boccia...
ben presto il capriccio
può farci passar;
lei ripete: mio Ciccio,
mio Ciccio Salciccio,
facendo il pasticcio
mi fai morir.
 
Vieni a me
mio bebè,
sento dir
da lei perché!
 
Sono bello, son ricco,
perciò la Borraccia
con me s’impasticcia,
da lei non mi scaccia:
lei pure la testa
vuol perdere invano
per Ciccio Pasticcio,
pallottola in mano.
 
Sono bello e son ricco,
le donne le scaccio,
ma dopo di averle
ridotte uno straccio,
ognuna la testa
vuol perdere invano
per Ciccio Pasticcio,
pallottola in mano.


TESTI CONSULTATI

– Franca Faldini e Goffredo Fofi, Totò, Napoli, Tullio Pironti editore, 1987 (ristampa di Totò: l’uomo e la maschera, Milano, Feltrinelli, 1977)
– Giancarlo Governi, Vita di Totò (Supplemento al numero di Gennaio 1992 di Totò Cine & Tv) Milano, Nuova Fonit Cetra.
La riproduzione dello spartito de Il bel Ciccillo è tratta dal sito:
http://www.internetculturale.it/opencms/opencms/it/pagine/mostre/pagina_168.html



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