(Vicenza, Strada
Stat. 247 della Riviera Berica, all’altezza della confluenza del viale dello
Stadio)
Molti genitori
delle mie parti non hanno insegnato il veneto ai figli: gli hanno parlato [per i puristi: hanno parlato a loro] in
italiano (“Così si troveranno bene a scuola”). Il rifiuto delle proprie origini
viene visto come una forma di riscatto da un passato povero che si vuole
dimenticare. Il problema è – basta fare un giro su Facebook per
sincerarsene – che, come i genitori si vergognano del dialetto, i figli si
vergognano dell’italiano e, appena possono e/o ci riescono, si esprimono in
inglese, perché fa più figo, pardòn “fico”, pàrdon “trendy”. Per la
felicità degli insegnanti di inglese? Direi proprio di no: primo, perché la
scuola è uno dei principali parafulmini per le invettive e le maledizioni dei
ragazzi; secondo perché... ma avete letto come scrivono? Il destino decise che
io sarei diventato francofono, il che mi rende felicemente ignaro della
scorrettezza di molte esternazioni nostrane in lingua inglese; ma davanti a
questa scritta no, perfino io sobbalzo:
(Vicenza, via
Giovanni Miglioranza)
Notate che
l’ignoto scrittore (perché non firmare? Una croce basta e avanza), aveva
inizialmente scritto “SCOOL” ma giustamente, sentendo che qualcosa non
andava, ha prontamente “corretto”! Uno scrupolo che desta tenerezza. Se questo
è l’inglese che gli hanno insegnato a scuola, direi che l’invettiva è
ampiamente giustificata; ma ho forti dubbi che la colpa sia della scuola...
L’inglese
influenza anche chi lo rifiuta: e così, chi si rifiuta di dire “il weekend”
dice “il fine settimana” anziché “la fine settimana”; ma in fondo ha ragione:
il fine settimana giustifica gli automezzi!
E se l’inglese
scritto – miracolosamente – è impeccabile, interviene l’errore di pronuncia.
Volete un esempio clamoroso (e storico)? Cent’anni fa, più o meno, nascevano le
prime squadre di calcio italiane, e qualcuno aveva il vezzo (già allora) di
dargli [per i puristi: dare a loro] un nome inglese; e così il 16
dicembre 1899 nasceva il Milan Foot-Ball and Cricket Club. Ora “Milan”,
inteso come la versione inglese, o francese, o anche in dialetto milanese, di
Milano, ha sempre, dico sempre, l’accento sulla “a”: anche in questo senso vale
il vecchio detto meneghino: Milàn l’è semper Milàn.
E qui il
cerchio si chiude: perché “Milan” è anche, oltre che un nome slavo (questo sì
pronunciato con l’accento sulla “i”), un cognome veneto: che, ovviamente,
per chi sa il veneto, si pronuncia Milàn (se non credete a me, credete
almeno a Emidio De Felice, e al suo Dizionario dei cognomi italiani,
Milano, Mondadori, 1978). Ma la cultura inglese è pervasiva, e così sento dire
Mìlan, Zòrdan, Àngriman (hungry man?)... Succede ai cognomi in –an,
non a quelli in –in; ma un motivo c’è: è così anche in inglese: Cecchin
→ Check-in!
I commercianti
ovviamente si adeguano; ma siccome i clienti sono spesso dei cialtroni, non si
può usare l’inglese vero: chi lo capirebbe? Che fare? Facile: si ricorre –
temo, purtroppo, spesso in modo inconsapevole – a una specie di “itangliano”.
E così – tanto per fare un
esempio – a Milano potete andare nei negozi di ottica della Occhial House
(http://www.occhialhouse.it/)!
Lo Zanzar Store è invece un
negozio di zanzariere, prodotte dalla Zanzar Line Sas, col marchio Zanzar
System (repetita iuvant) (http://www.paginegialle.it/zanzarstore).
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