Le perifrasi per non dire
“moglie”, pubblicate nella prima parte, sono tratte da:
Osservazioni di uno qualunque,
in Bertoldo, 1939-1943.
GIOVANNINO GUARESCHI
(Fontanelle di Roccabianca, Parma, 1º
maggio 1908 – Cervia, Ravenna, 22 luglio 1968)
È morto lo scrittore che non
era mai nato: così L’Unità annunciava la morte di Giovannino
Guareschi: un titolo discutibile, e non solo per il cattivo gusto, se si pensa
che Guareschi era (ed è) uno degli scrittori italiani più letti al mondo (il
primo libro della saga di don Camillo e Peppone – Mondo piccolo. Don Camillo,
Milano, Rizzoli, 1948 – all’epoca era già stato tradotto in ungherese,
giapponese, ebraico, tedesco, inglese, francese, danese, spagnolo, islandese,
finlandese, portoghese, olandese, svedese, lituano, polacco, turco, lettone,
sloveno, a cui negli anni successivi si sarebbero aggiunti norvegese, croato,
ucraino, ceco, basco, coreano, rumeno). Ma Guareschi con la sua attività di
giornalista e di scrittore si era fatto molti nemici, e non solo fra i
comunisti: era un vero reazionario, che rimpiangeva un’Italia rurale che non
c’era più e che vedeva nel boom economico non solo l’allontanamento
dalla vera ricchezza, costituita dalla terra, ma anche la scomparsa dei veri
valori, quelli tradizionali, spazzati via dal consumismo.
Guareschi è universalmente noto
per i racconti del mondo piccolo di don Camillo; meno conosciute sono
invece le cronache di un mondo ancora più piccolo: quello della sua famiglia.
Lo scrittore vi trasfigura umoristicamente i suoi rapporti con la moglie
Margherita (che nella realtà si chiamava Ennia Pallini) – una donna dalla
logica, diciamo così, “creativa” – e con i figli che, come Harpo e Groucho
Marx, sembrano essersi spartiti i campi della comicità: gag soprattutto
fisiche per Albertino (il piccolo martellardo), gag verbali per
Carlotta (soprannominata dal padre “la Pasionaria” per le sue preoccupanti
tendenze rivoluzionarie: essendo nata a Parma È una comunista storica, anzi,
ancora di più; è una comunista geografica).
Si può far ridere creando una
situazione comica – e in questo Guareschi è maestro – ma si può far ridere
anche col modo con cui si racconta una situazione, non necessariamente comica –
e in questo Guareschi è altrettanto abile.
I poeti dell’Ottocento italiano
avevano dei problemi a usare termini tecnici o legati al quotidiano,
giudicandoli troppo prosaici: ecco allora che i cannoni diventano per Prati vacui
bronzi e i fucili per Leopardi ferree canne, mentre
il busto femminile si trasforma per opera di Vittorio Betteloni in virgineo
cinto.
Scendendo a livello terra terra,
i cronisti di calcio, per evitare ripetizioni, hanno la tendenza a fare uso di
locuzioni che, per i profani, risultano particolarmente criptiche: la squadra
biancoscudata, la squadra blucerchiata, i viola, il giocatore granata...
È di questi procedimenti che
Guareschi si fa gioco, quando comincia nelle sue prime cronache familiari a
evitare accuratamente, come un tabù, di scrivere la parola “moglie”, creando un
tormentone che durerà per anni. Parte dalle perifrasi più ovvie e banali (la
dolce compagna della mia vita; la signora che mi rese padre),
incrociandole con linguaggi settoriali incongrui, come quello amministrativo (la
esimia socia della nostra azienda familiare) o ampliandole in maniera tanto
inattesa quanto inappuntabile (la dolce signora che mi rese cognato, genero,
zio e padre) fino ad arrivare a definizioni tanto involute quanto logicamente
indiscutibili (la consorte del padre dei miei figli) in un crescendo che
si fa via via più parossistico (La nota e distinta signora che, con
la scusa di voler dare pubblicità e diffusione al mio nome e citando all’uopo
massime significative quali, ad esempio, «forza Giovannino, la réclame è
l’anima del commercio», mi indusse a inserire il mio cognome prima su una
pubblicazione di matrimonio, quindi su quella specie di edizione straordinaria
recante il titolo di «Albertino»).
Un uso sapiente del tono
“sbagliato” suscita il riso: è una tecnica che Guareschi riusciva ad applicare
alle situazioni più drammatiche e che, per di più, lo toccavano personalmente: «Mi
vado a rivedere l’Austria» dissi a Margherita. Ed era un pezzo che quell’idea
mi gironzolava per la testa perché in Austria c’ero già stato un’altra volta,
ma non avevo potuto approfondire lo studio dei particolari, sia per il fatto
che ero sovrappensiero, sia per il fatto che ero inchiavardato dentro un carro
bestiame della ferrovia, assieme all’esercito italiano. (Viaggi ed
esplorazioni, in Corrierino delle Famiglie, n. 40, 1949.) Si
riferiva alla sua deportazione in Polonia e Germania per essersi rifiutato,
come ufficiale dell’esercito italiano, di continuare a combattere a fianco dei
tedeschi dopo l’armistizio. Tornò che pesava 46 kg, avendone perso una trentina
per strada.
Ma, in campo di concentramento,
trova la forza per scherzare anche su questo:
Nella mia carta di
riconoscimento c’è la fotografia di un faccione senza ombre, con ogni minima
ruga spianata accuratamente dal grasso e dal ritocco. Un faccione deserto, con
due stupidi occhi estatici come quelli dei manichini. [...]
Una faccia deserta da “dopo la
cura”.
Adesso tutto è cambiato.
L’imbottitura di grasso è scomparsa, la pelle si è asciugata, e la mandibola –
liberata dall’untuoso cuscinetto del doppio mento – mostra il suo profilo che
ha una linea abbastanza decisa e piacevole. Gli zigomi sono riaffiorati
dall’epa che li affogava, e movimentano notevolmente le guance.
Il mio volto possiede
finalmente delle ombre: gli occhi sono diventati più grandi, si sono
disincantati e vivono. [...]
Fui sempre decisamente
antipatico a me stesso, e più d’una volta irrisi alla mia goffaggine anche
pubblicamente, sui giornali umoristici.
Adesso comincio a diventarmi
decisamente simpatico e, quando mi incontro allo specchio, mi sorrido
cordialmente:
«Ciao, vecchio! Chi non muore
si rivede!».
(Diario clandestino,
Milano, Rizzoli, 1949)
L’umorismo presuppone una presa
di distanza, il distacco emotivo; il distacco, in questo caso, dalla propria
drammatica situazione: si trattava dunque di una strategia di sopravvivenza. “Non
muoio neanche se mi ammazzano!” era stato il suo motto durante la
prigionia.
Scherzare nei momenti meno
indicati era evidentemente più forte di lui, fin dai tempi del ginnasio; così
recitano le osservazioni del rettore datate 20 gennaio 1925:
Troppo spiritoso. La sua
“verve” è spesso inopportuna. Le sue mancanze sono conseguenza d’irrefrenabili
doti umoristiche. Veramente intelligente, ottiene per lo studio, coi minimi
mezzi, i massimi risultati.
La nota ufficialmente è del
Rettore, ma a stenderla fu il suo professore di Italiano: si chiamava Cesare
Zavattini; lo avrebbe chiamato, molti anni dopo, a collaborare al quindicinale
umoristico Bertoldo.
Si trattava di una lingua,
evidentemente, che non si fermava di fronte a nessuna autorità, proprio a
nessuna:
[Don Camillo, rivolto al
Crocefisso che lo rimprovera di nascondere in casa un mortaio da 81:]
«Gesù» disse «ci sono delle
cianfrusaglie che uno non riesce a buttarle via perché sono dei ricordi. Noi
uomini siamo tutti un po’ sentimentali. E poi non è meglio che questa roba sia
in casa mia piuttosto che in casa di altri?»
«Don Camillo ha sempre
ragione» rispose sorridendo il Cristo. «Fino a quando non farà qualche
soperchieria.»
«Per questo non ho paura; ho
il miglior consigliere dell’universo» rispose don Camillo. E così il Cristo non
seppe più cosa rispondergli.
(da Uomini 2 - mucche 100,
racconto n. 20 in Tutto don Camillo.)
Concludo con una mia poesiola
dedicata ai rapporti fra Guareschi e la Polonia:
GIOVANNINO
GUARESCHI
Nei
campi polacchi
rubasti
a Sobieski
quei
lunghi mustacchi
dai
grandi arabeschi.1
Forse
era degli avi
che ti
ricordavi?2
Per
questo li abbini
a due
polacchini?3
Mio
caro Guareschi,
Giovanni
piccin:
quei
baffi moreschi
li
porta Stalìn!
Se
scordi Radetzky,
se
scordi Čaikovskij,
mio
caro Guareschi,
quei
baffi disboschi!
1 -
Guareschi si fece crescere i baffi durante la prigionia in Polonia.
2 -
Gli antenati di Guareschi sarebbero stati di origine polacca.
3 -
Polacchino, polacca o polacchina, la scarpa preferita da Guareschi: uno
stivaletto allacciato fin sopra la caviglia.
LETTURE CONSIGLIATE
- Giovannino Guareschi, Tutto don Camillo – Mondo Piccolo,
Milano, Rizzoli, Bur, 2003.
Raccolta,
curata dai figli Alberto e Carlotta, di tutti i racconti riguardanti don
Camillo: due volumi di racconti e un terzo volume di note accuratissime e di commenti
che ricostruiscono il contesto storico in cui i racconti nacquero e a cui fanno
riferimento.
- Giovannino Guareschi, La
famiglia Guareschi – Racconti di una famiglia qualunque 1939-1952, Milano,
Rizzoli, 2010.
- Giovannino Guareschi, La
famiglia Guareschi – Racconti di una famiglia qualunque 1953-1968, Milano, Rizzoli, 2011.
Raccolta,
curata dai figli Alberto e Carlotta, di tutti i racconti riguardanti la
famiglia di Guareschi.
SITI INTERNET
Sito ufficiale, curato dai figli,
con una accurata cronologia della vita dello scrittore.
Voce su Giovannino Guareschi del Dizionario
Biografico degli Italiani, Treccani editore.
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