La dolce compagna della mia
vita.
La dolce compagna della mia
vitaccia.
La compagna della mia triste
vita.
L’amabile compagna della mia
ex vita.
La gentile compagna del mio
triste viaggio su questa squallida terra, e speriamo, soltanto su questa
squallida terra.
La dolce compagna dei miei
giorni e della mia insonnia.
La dolce compagna dei miei
sogni di scapolo e del mio risveglio di coniugato.
La dolce compagna già
nominata.
L’esimia signora che divide
con me le gioie della vita e mi lascia generosamente tutti i fastidi.
La signora che divide con me
le noie della vita e si prende tutto il mio stipendio per usi domestici.
La signora che divide con me
il mio nome ma si prende, per necessità domestica, tutto il mio stipendio.
La dolce signora che divide
fraternamente il mio appartamento lasciandomi l’intero affitto da pagare.
La mite creatura che divide
imparzialmente con me suo figlio ma si prende i nove decimi del mio stipendio.
La esimia signora che divide
con me un numeroso Albertino e i pochi proventi delle mie quotidiane
aggressioni alla grammatica e alla sintassi.
La dolce signora che, pure
essendo dislocata in campagna, accetta di dividere fraternamente il mio
stipendio ma si tiene completamente la mia carta annonaria costringendomi a una
benefica cura a base di zuppe di verdura e uova al tegame.
La esimia socia della nostra
azienda familiare.
La gentile socia della mia
malinconica azienda.
La mia distinta
con-contribuente.
La dolce amministratrice dei
miei beni mobili.
La eccellente amministratrice
dei miei ex beni mobili.
La dolce signora dei miei beni
mobili e immobili.
La intelligente
amministratrice dei miei beni immobili e del mio mobile cuore.
La esimia amministratrice dei
miei beni e dei miei mali.
La dolce amministratrice dei
miei affetti e dei miei effetti.
La insigne amministratrice
delle mie piccole gioie e dei grandi dolori.
La dolce creatura dei miei
dolci sogni e della mia malinconica realtà.
La insigne domatrice del mio
bilancio.
La insigne amministratrice dei
miei disavanzi.
La esimia amministratrice del
mio sbilancio.
La esimia amministratrice
delle mie disgrazie familiari.
La esimia amministratrice del
mio povero stomaco.
La oculata amministratrice dei
miei difetti.
La rispettabile
amministratrice dei miei nervi.
La dolce signora del mio
mezzanino.
La dolce signora del mio
quarto piano.
La esimia correligionaria,
connazionale, concittadina, e ora coinquilina.
La stimabile attendente a
casa.
La dolce utente del mio
cognome.
La distinta cittadina che, con
la scusa di economizzare spazio, divide il mio letto.
La dolce signora che,
accampando strane esigenze tecniche, divide con me il mio letto.
La distinta signora che già da
parecchio tempo ha preso l’abitudine di dormire al mio fianco come se io non
fossi stato capace per trent’anni di dormire quasi sempre da solo.
La dolce signora che, ogni
notte, con la sua lunga camicia amaranto a fiori verdi porta una inconfondibile
nota di distinzione nelle due piazze del nostro letto.
La mia vicina di lenzuola.
La distinta coutente del mio
letto.
La dolce signora che rallegra
il mio modesto appartamento con bambini e considerazioni sul prezzo degli
ortaggi.
La simpatica signora che, ogni
sera, quando rincaso dall’ufficio, mi chiede addolorata dove diavolo sono
stato.
La distinta signora, la quale
ogni volta che io mi faccio la barba sospira che io ho un’altra donna.
L’antica fidanzata
dell’imposta sul mio celibato.
Quella che fu la titolare del
mio cuore di studente.
La dolce signora che fu già la
mia dolcissima signorina.
Colei che mi conobbe
signorino.
La dolce signora che mi
conobbe giovinastro.
La dolce signora che mi
conobbe studentastro e non riuscì mai a conoscermi laureato.
La esimia signora che mi
conobbe zitello.
La dolce individua che mi fece
suo.
La gentile creatura che non mi
volle più signorino.
La dolce signora che non mi
volle più pulzello.
La donna che sconfisse il mio
celibato.
La esimia signora che mi tolse
la celibatezza.
La nobile donna che per me
sacrificò la nubilanza.
La dolce creatura che mi colse
un giorno, fiorellino aulente di celibato in mezzo al prato verde della vita.
La esimia signora che mi
sedusse a scopo matrimoniale.
L’esimia signora che seppe
indurmi a modificare radicalmente i miei concetti sul matrimonio.
La donna che un giorno disse
«sì».
La dolce signora che un giorno
mi giurò eterno matrimonio.
La dolce signora che mi rese
coniuge.
La dolce signora che mi rese
vigilato a vita.
La gentile signora che mi
volle sinistrato a vita.
La esimia signora che, non
contenta del suo, porta anche il mio nome.
La simpatica signora che porta
il suo nome e il mio cognome.
La simpatica creatura che il
cielo sparse copiosamente sul mio cammino.
La egregia signora che pedala
con me sul tandem che il destino mi ha assegnato.
La dolce signora che un giorno
volle essere la mia fidanzata, poi la mia consorte e che ora vorrebbe essere la
mia vedova.
La gentile angelessa del mio
focolare.
La angelessa della mia stufa.
La dolce signora che mi
conobbe benissimo quando io ero ancora signorino e che io conobbi bene, ahimè,
soltanto quando non ero più signorino.
La dolce signora che, grazie a
una manovra ardita compiuta col favore della nebbia di un febbraio, fece di un
signorino un coniugato a vita.
La onorevole cittadina che,
per incoraggiare il turismo e lo sviluppo delle ferrovie, volle una volta
partire con me in viaggio di nozze.
La dolce signora che –
approfittando della mia buona fede – mi fece credere un giorno, per loschi suoi
fini personali, di essere la migliore e la più conveniente creatura di sesso
femminile esistente sul mercato ancora libera da vincoli matrimoniali.
La dolce signora che, un
giorno di febbraio, approfittando della mia distrazione e della mattinata
caliginosa, mi condusse all’Altare.
La dolce signora che,
approfittando della mia scarsa conoscenza della turbinosa metropoli lombarda,
mi indusse a entrare da una porticina dalla quale uscimmo poi io moglio e lei
marita.
La dolce signora che,
approfittando della mia disattenzione, mentre stavamo camminando per la strada
e io avevo intenzione di andare diritto, mi ha fatto girare invece verso la via
del municipio.
La dolce signora che,
approfittando della mia suggestionabilità, riuscì a farmi dire un sacco di
sciocchezze in presenza di impiegati comunali e prelati.
La dolce signora che, una
volta, con la scusa di farmi ammirare certi pregevoli affreschi del ‘500, mi
indusse a entrare, celibe, in una chiesa per uscirne di lì a poco coniugato a
vita.
La distinta creatura – che,
con la scusa di farmi rendere conto di quanto sia confortante nei momenti di
tristezza entrare nella Casa del buon Dio, mi indusse a inginocchiarmi celibe
davanti a un altare per poi rialzarmi coniugato.
La nota e distinta signora
che, con la scusa di voler dare pubblicità e diffusione al mio nome e citando
all’uopo massime significative quali, ad esempio, «Forza Giovannino, la réclame
è l’anima del commercio», mi indusse a inserire il mio cognome prima su una
pubblicazione di matrimonio, quindi su quella specie di edizione straordinaria
recante il titolo di «Albertino».
La dolce signora che – con la
scusa di iniziarmi al solfeggio – mi fece pronunciare quel «sì» famoso.
La giovane donna [che], con la
scusa di tutelare il mio avvenire, mi indusse a confessare a un dignitoso
signore in veste talare che io ero felice di condurla in matrimonio.
La distinta signora che, con
la scusa di fare un piccolo dispetto alla sua amica Maria, mi sposò e ne fece
in definitiva uno grossissimo al suo amico Giovannino.
La dolce signora che, con la
scusa della sua paura per i cani randagi e per i velocipedastri, ha preordinato
le cose in modo che io l’accompagni, vita natural durante, per le strade del
mondo.
La dolce signora che, con la
scusa di lenire la disoccupazione, mi assunse in qualità di coniuge.
La dolce signora che, con la
scusa del matrimonio, mi dorme vicino per scopi suoi personali.
La dolce signora che –
allegando la scusa che viaggiando in comitiva si possono realizzare notevoli
risparmi – mi indusse a impiantare una famiglia con annesso Albertino.
La dolce signora che, con la
scusa di aumentare il decoro della ditta, indusse a procurarmi il piccolo socio
Albertino.
La signora che mi rese padre.
La insigne signora che mi rese
marito.
La dolce signora che mi rese
cognato, genero, zio e padre.
La consorte del padre dei miei
figli.
La madre del bastone della
nostra vecchiaia.
La delicata creatura che,
approfittando della mia giovinezza, mi rese padre.
La dolce signora che,
approfittando della mia inesperienza, mi rese padre.
La eccellente signora che,
approfittando dello stato di emergenza, rese figlio quell’Albertino già qualche
volta nominato.
La dolce signora che, per
futili motivi, mi fece occupare militarmente la casa dalla compagine del suo
figlioletto.
La dolce signora che, come il
famoso cavallo, si insinuò sotto le specie del curioso gingillo nella cerchia
delle mie mura domestiche per poi svelare l’insidia di un piccolo invasore
tristanzuolo, poppante e urlante.
La insigne coautrice di
Albertino.
La distinta comproprietaria di
Albertino.
La insigne coutente di
Albertino.
La dolce signora che inventò
Albertino.
L’autrice di Albertino.
La dolce confezionatrice di
Albertino.
La distinta costruttrice di
Albertino.
La egregia fabbricatrice di
Albertino.
La distinta appaltatrice della
fabbrica di Albertino.
La gentile creatura che mi rese
utente di Albertino.
La dolce signora che mi
imparentò con Albertino.
La gentile signora che rese
padre me, e figlio Albertino.
La insigne signora che mi rese
padre di tanto Albertino.
La dolce signora che mi rese
padre di numerosissimo Albertino.
La eccellente pastoressa del
sottoscritto pecorello e del suo agnellino.
La gentile fabbricatrice del
mio postero.
La confezionatrice della mia
posterità.
La eccellente posteriera.
La distinta signora che divide
con me un Albertino solo e centomila urli forsennati al giorno e alla notte.
L’insigne autrice di un
Albertino premeditato.
La esimia signora che perpetrò
Albertino.
La dolce signora che si
macchiò di tanto Albertino.
La insigne confezionatrice del
piccolo sciagurato.
L’efferata fabbricatrice del
piccolo figuro.
La esimia fabbricatrice del
più dannoso Albertino d’Europa.
La dolce signora che mi
condannò a un Albertino di rigore.
La esimia creatura di cui
sopra.
La già detta personaggia.
La non mai troppo citata
signora.
La esimia signora di qui tanto
ho già parlato.
La insigne signora di cui già
troppo si è parlato.
Ecco come l’autore di queste perifrasi descrive se
stesso:
Quando fui inventato io
(1-5-1908) la pianura padana esisteva già, quindi, sin dal mio primo vagito, io
fui e sono padano e ciclista.
Oggi grasso, non più signorino
e padre di numeroso Albertino, una volta fui agile come un gazzello,
spensierato e zitello.
Oggi sbracalato, discinto,
scarmigliato e padre di numeroso Albertino, un giorno anche io fui zitello, ben
pettinato e pulitino in tutta la persona e portai calzoni con piega e ghette
nocciola su scarpe di vernice nera.
Giovannino, in fondo, è buono
e il suo cuore è tenero come quello di un libellulo e gentile come quello di un
farfallo.
Avete capito chi è?
Ma mi accorgo di aver consumato tutto lo spazio: ci rivediamo fra pochi
giorni.(La seconda parte di questo post si trova qui.)
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Se non fosse stato per la data di nascita avrei detto Gianni Brera, che si definì (in tempi non sospetti) "bipede padano". Poi sono risalito, googlando, a Giovannino Guareschi, e ci sta proprio. Noto comunque una somiglianza stilistica che deriva dalla comune origine padana (Brera era di Arena Po, PV, Guareschi di Roccabianca, PR), cioè delle terre che si affacciano direttamente sul Po (la "Padania" dei leghisti non esiste).
RispondiEliminaEsatto: è Giovannino Guareschi. Nato il 1° maggio, gli fu pronosticato dagli amici del padre un avvenire - pensa un po' - da campione del socialismo!
EliminaCerto che se non ci fossero queste mogli bisognerebbe inventarle: altrimenti cosa scriviamo. E poi scusate le mogli sono propedeutiche alle amanti: senza moglie che fine farebbero le amanti, categoria femminile così significativa nel nostro contesto sociale ed economico....
RispondiEliminaChe dirti? Io non sono sposato...
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