venerdì 3 ottobre 2014

GINO PATRONI ovvero LA VITA È UNA MALATTIA EREDITARIA – 1


Noi siamo fatti della stessa materia dei sogni.
(William Shakespeare, La tempesta)

Noi siamo fatti della stessa materia dei segni.
(Gino Patroni, citato da Ettore Alinghieri in Il meglio di Gino Patroni – Epigrammi editi e inediti, prose, memorie di vita, Milano, Longanesi & C., 1994)   

Non capisco perché
tutti si preoccupano
di essere felici
quand’è tanto semplice
e naturale
essere infelici.
]Derivato per analogia
da un aforisma di Mark Twain[ 
(da Il foraggio di vivere, 1987) 


GINO PATRONI
(Montemarcello, frazione di Ameglia (SP), 1920 – La Spezia, 1992)


Non sapevo nulla di Gino Patroni (e nemmeno ne sospettavo l’esistenza) prima di trovare una sua raccolta di epigrammi – La vita è una malattia ereditaria – in una bancarella di libri usati. 
È stato più di un amore a prima vista: è stato come trovare un fratello di cui si ignorava l’esistenza, e con il quale si scoprono con stupore straordinarie affinità.
Chi era Gino Patroni? In Internet troverete poco, e Wikipedia mette addirittura in dubbio l’opportunità di dedicargli una voce enciclopedica (clic). Non perdiamoci d’animo, però, perché ci ha pensato lui a presentarsi:
Classe di ferro arrugginita alla svelta, mezzo geometra (per studi abbandonati), maestro elementare intero, sette anni di liceo classico (impiegato in segreteria), prigioniero in Germania, liberato dai francesi di Leclerc e subito rifatto prigioniero per il coup de poignard fascista del 1940, poi travet statale, giornalista professionista, depresso endogeno e indigeno (siccome vive alla Spezia, base navale e banale), abita di preferenza al reparto neuro ma sovente si ricovera a domicilio. (Gino Patroni)
Depresso endogeno e indigeno, base navale e banale: avete capito di che genere di scrittore stiamo parlando? Gino Patroni appartiene a quel genere di umoristi che potrebbero essere definiti ‘interruttori di corrente’. [...] Essi sono irresistibilmente portati a ‘dissociare’ il suono della parola dal suo significato, interrompendo così, ogni volta, la corrente del pensiero. Il risultato evoca, almeno nei casi più memorabili e più frequenti, la tecnica del ‘refuso’ tipografico, l’errore di stampa. E assomiglia anche ai giochetti enimmistici o famigliari del cambio di consonante e di vocale, della perdita e dell’aggiunta dell’una e dell’altra. (Mario Soldati, prefazione di del libro di G. P. Un giorno da beone, 1969)
Un uomo affascinato dai giochi di parole, dunque, con una straordinaria capacità di spostare l’attenzione dal significato al significante, come nota giustamente Soldati; per poi tornare però al significato, un nuovo significato, perché i giochi verbali di Patroni un senso ce l’hanno (quasi) sempre.
In questo la sua professione di giornalista lo aiutava, come suggerisce ancora Soldati, la dimestichezza con gli inevitabili – e a volte creativi – refusi tipografici. Ed è sempre la sua esperienza di giornalista che lo ha portato a formulare alcuni suoi epigrammi nella forma di titolo di giornale. Un esempio, basato sullo scambio di vocale:



INCIDENTE DI STRADA
E DI TIPOGRAFIA
Per
un errore
di stampa
esce
illuso
da uno scontro
d’auto.
(da Non c’è amore senza pene, raccolta inedita)


La tecnica creativa è semplice: si crea un refuso e si vede che cosa succede: a volte viene una frase di senso compiuto:


ACCADDE
IN SIBERIA
Una spia
svenuta
dal freddo
(da Il foraggio di vivere, 1987)

Altre volte viene invece una frase insensata: da “tutto è perduto fuorché l’onore” si può ricavare “tutto è perduto fuorché l’odore”; ma che vuol dire dire? Bisogna, a posteriori, inventare una storia per giustificare la frase, per darle un – inaspettato – senso:

RASSEGNAZIONE
Se un flacone
di prezioso
e costoso
profumo
vi sfugge
di mano
e va in frantumi
tutto è perduto
fuorché l’odore.
(da Non c’è amore senza pene, raccolta inedita) 

Allo stesso modo da “lezioni private” si può far derivare “lesioni private”; ma cosa se ne può ricavare? Questo:

INSERZIONE
Delinquente
professionale
impartisce
lesioni private.
(da Il foraggio di vivere, 1987)
(Suppongo che il pagamento sia in nero.) 

Altre volte per dare senso alla frase, basta un semplice titolo:  
TAM-TAM
Musica
da Camerun.
(da Crescete e mortificatevi, 1975)

LAMENTO
DI MUCCA
Sento
odor
di brucato.
(da Il foraggio di vivere, 1987)  
LETTERA DAL CONFINO
«Ti scrivo
sotto
dittatura.»
(da Ed è subito pera, 1959)

SUICIDIO DI INSETTO
Stanco di vivere
[e non avendo letto Leopardi, aggiungo io]
si butta dalla ginestra.
(da Il foraggio di vivere, 1987)

RAFFREDDORE
La goccia
che fa
traboccare
il naso.
(da Non c’è amore senza pene, raccolta inedita)  
È chiaro che, perché il gioco funzioni, è necessario che il modello sottoposto a deformazione sia immediatamente riconoscibile: si assumeranno perciò come modelli frasi idiomatiche e proverbi (nei casi precedenti: musica da camera”, “odor di bruciato”, “sotto dettatura”, “buttarsi dalla finestra”, “la goccia che fa traboccare il vaso); ma inevitabilmente – ed è una sottile soddisfazione di ex studente – anche versi celebri.
Il più conosciuto degli epigrammi di quest’ultimo gruppo è senz’altro quello che, nella sua scarna essenzialità (una parola per verso) fa il verso – è il caso di dirlo – a Salvatore Quasimodo:

ED È SUBITO SERA
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

(Salvatore Quasimodo)


MENSA POPOLARE
Una
zuppa
di
verdura
ed
è
subito
pera.
(Gino Patroni, da Ed è subito pera, 1959)

Ci sono casi limite, e quindi particolarmente notevoli:

1 – frase idiomatica sottintesa (in questo caso: “menare il can per l’aia”, che suggerisce la città olandese dell’Aia):

DETTO OLANDESE
Menare il can
per Rotterdam.
(da Crescete e mortificatevi, 1975)  

2 – Verso citato senza alcuna modifica:
leggiamo:  
Galeotto
fu il libro
e chi lo scrisse. 

e pensiamo ovviamente a Dante Alighieri; e invece no! Andiamo a vedere il titolo: 

«PAPILLON»
(di Henri Charrière)
(da Crescete e mortificatevi, 1975)

3 – incroci di due modi di dire (Cherchez la femme”, “Cerco l’uomo”):

«CHERCHEZ LA FEMME»
Diogene
non sapendo il francese
preferiva
cercare l’uomo.
(da Il foraggio di vivere, 1987)

Detto così, en passant (perché il francese io lo conosco), a un certo punto Diogene smise di cercare l’uomo:

DIOGENE
Si aggirava
ogni notte
nelle vie d’Atene
con un lume
gridando:
«Cerco l’uomo!»
Smise di cercare
quando da una finestra
qualcuno urlò:
«Finocchio!»
(da La vita è bella e scarso l’avvenir, 1988)

A volte assistiamo a veri e propri virtuosismi linguistici, abbastanza insoliti nell’opera di Patroni. Esempi:

1 – Un curriculum vitae che, nella sua secca concisione, ma anche nel titolo latino, sembrerebbe strizzare l’occhio al Veni, vidi, vici di Giulio Cesare (Gino, tu quoque?):

CURRICULUM
Nacque
piacque
nocque
spiacque
tacque
giacque.
(da La vita è bella e scarso l’avvenir, 1988)

Forse una citazione, ma ben nascosta, si annida pure in questo epigramma/epitaffio: il Cadde, risorse e giacque che Alessandro Manzoni, ne Il cinque maggio, riferisce a Napoleone. In effetti, esattamente come scrive Patroni, Napoleone prima piacque e poi spiacque, se non a Manzoni, almeno a Beethoven, che gli aveva dedicato la Sinfonia n. 3 Eroica per poi pentirsene.

2 – Un esempio di ingegneria genetica verbale, con prelievo e ripetuta clonazione a fini espressivi:

CONFESSIONE
DI BECCHINO
A notte fonda
sui vialetti
del cimitero
ho incontrato
il fantasma
asma
asma
asma
di un fumatore.
(da La vita è bella e scarso l’avvenir, 1988)

I giochi di parole, come abbiamo visto, hanno un ruolo fondamentale negli epigrammi di Patroni. Non sempre, tuttavia: a volte vengono usate altre tecniche:

1 – Abbassamento: da una citazione aulica si passa repentinamente a una conclusione terra terra:

– citazione dal proemio dell’Iliade di Omero nella traduzione di Vincenzo Monti:


A SCELTA
Cantami
o diva
del Pelide
Achille,
quello,
che vuoi.
(da Ed è subito pera, 1959)

– citazione dalle Rime di Dante Alighieri:

I NIPOTI
Guido:
io vorrei
che tu,
e Lapo
ed io,
andassimo
a trovare
un po’
lo zio.
(da Ed è subito pera, 1959)

E qui non mi trattengo: vi do la mia versione:

I NIPOTI
Guido io:
vorrei
che tu,
e Lapo Elkann
ed io,
andassimo
a trovare
un po’
lo zio.

2 - Doppi sensi: ecco alcuni esempi:

ORGOGLIO
Mio figlio
è il primo della classe,
entrando.
(da Un giorno da beone, 1969)

LAMENTO DI PASTORE
Di notte
non dormo
perché
conto le pecore.
(da Crescete e mortificatevi, 1975)

DESIDERIO
Ultimo re dei Longobardi.
Secondo Tennessee Williams
era un tram.
(da Il foraggio di vivere, 1987)

APPARENZE
Non è vero
che i cassieri
in banca
siano gli uomini
che contano
di più.
(da La vita è bella e scarso l’avvenir, 1988)  
Il più notevole è, forse, questo:

Non c’è amore
senza pene.
Dico male
o dico bene?
(da Non c’è amore senza pene, raccolta inedita)

Notevole, perché
– se pronuncio:
Non c’è amore senza péne (= sofferenze). Dico male o dico béne? finisce che “dico male” (e denuncio la mia origine settentrionale), perché “bène” va pronunciato con la “è” larga;
– se invece, per fare una rima perfetta, pronuncio:
Non c’è amore senza pène. Dico male o dico béne? finisce che “dico bene”, certo, dal punto di vista della dizione; ma, in certi ambienti, parlo male, in maniera sconveniente, perché pène è l’organo esterno erettile dell’apparato urogenitale maschile (definizione del dizionario De Mauro: dite che l’ho fatto... pardon: fatta troppo lunga?).
Beh, visto che ormai abbiamo sbracato, concludiamo con questo epigramma fulminante:  
LESBICA
Una donna
che non capisce
un cazzo.
(da Il foraggio di vivere, 1987)

Non avrei finito; ma sono sfinito e qui faccio punto. A presto per la seconda parte, miei diletti.

La seconda parte di questo post si trova qui (clic).

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