mercoledì 14 marzo 2012

SERGIO TOFANO ovvero QUI COMINCIA LA SVENTURA...


[dalla scena seconda:]

BONAVENTURA        Spazzare... spazzare... sempre la stessa storia.
                                   Oramai spazzo a memoria.
                                   Con questa scopa mi coprirò di gloria.

                                   [puoi ascoltare l’mp3 qui]
                                   Lavoro da pazzo
                                   che dura da un pezzo,
                                   la schiena mi spezzo
                                   ma spazzo, ma spazzo.
                                   Quand’ho quest’attrezzo
                                   non chiedo rimpiazzo,
                                   disprezzo ogni prezzo
                                   ma spazzo, ma spazzo!

                                   Dimesso, sommesso,
                                   lavoro se posso...
                                   ma oppresso compresso
                                   mi sposso, mi sposso!...
                                   mai lusso, ma lesso,
                                   me lasso!... con l’osso!
                                   mai spasso, ma spesso
                                   mi sposso, mi sposso!...

[dalla scena quinta:]
                                  
                                   [puoi ascoltare l’mp3 qui]
CECÈ                         Io, bellissimo Cecè,
                                   quando vo per la città
                                   son guardato più di un re,
                                   più ammirato d’un pascià!

BONAVENTURA                                Vero, ma...

CECÈ                         Sacrosanta verità!

PICCININA                                        Ah!... Ah!

CECÈ                         Alto il capo, agile il piè
       vispo come un colibrì,
       ho quel certo non so che
       per piacere lì per lì...

BONAVENTURA                                Ma bensì...

CECÈ                         Poche chiacchiere, è così!

PICCININA                                        Ih!... Ih!

CECÈ                         Impeccabile il gilet
                                   la cravatta rococò
                                   e il nontiscordardimé
                                   all’occhiello, comme il faut!

BONAVENTURA                                Ma però...

CECÈ                         Contraddirmi non si può!

PICCININA                                        Oh!... Oh!

CECÈ                         Le regine invito al tè,
                                   con i re sto a tu per tu,
                                   sono celebre perché
                                   valgo, caspita, un perù!

BONAVENTURA                                Su per giù...

CECÈ                         Anzi, valgo molto più!

PICCININA                                        Uh!... Uh!

CECÈ                 (lancia sui due un’occhiata di superiorità sdegnosa e si avvia tronfio alla porta di fondo: passando davanti al manichino sormontato dal cappello, si ferma un attimo, come in presenza di una dama, fa una grande scappellata, un profondo inchino ed esce pettoruto. La piccinina tira un altro sospiro e lo segue).

[dalla scena sesta:]

BONAVENTURA        (imitando Cecè)

                                   Son sempre quello,
                                   sempre più bello,
                                   sembro un fringuello!
                                   E adesso, ricominciamo a lavorare.
                                   Spazzare, spazzare, sempre spazzare,
                                   prima, durante e dopo,
                                   di mia vita la scopa è lo scopo.

(Si siede in mezzo alla scena e spazza da sedere, calmo, calmo, come se remasse accompagnando ritmicamente l’andare e venire della scopa in cadenza coi versi un po’ cantilenati della seguente filastrocca)

[puoi ascoltare l’mp3 qui]
Qui comincia la sventura
del signor Bonaventura!
Vita dura, sorte oscura,
maledetta iettatura,1
che tortura addirittura
per un’anima sì pura
di spazzar la spazzatura!
Dal mattino all’apertura,
alla sera alla chiusura,
con il freddo e la calura,
tutto il dì fra quattro mura
vera vita di clausura,
che mestier da far paura,
malsicura congiuntura
per me povera creatura
così ricca di coltura
aver cura con premura
di spazzar la spazzatura!
Qui comincia la sventura
del signor Bonaventura!
Ma che bella seccatura!
La fortuna mi trascura,
la disdetta è duratura,
contro me tutto congiura,
se alla pena do la stura
cresce il duolo a dismisura.
Qui nel cuore ho una puntura,
e il cervello va in cottura,
onde avrò presto immatura
giacitura in sepoltura!
Qui comincia la sventura
del signor Bonaventura!...

(Adagio adagio la voce gli si è smorzata, finché sull’ultimo verso è già addormentato appoggiato alla scopa. [...]).

1 – Verso non presente nell’edizione Adelphi.

(da Qui comincia la sventura del signor Bonaventura, 1927)



SERGIO TOFANO
(Roma, 20 agosto 1886 – Roma, 28 ottobre 1973)

Si dice Sergio Tofano e subito vengono alla mente, da un passato che sembra lontanissimo, le tavole un po’ naïf del signor Bonaventura, storie arcaiche di un tempo in cui non si parlava in prosa dentro alle nuvolette ma si narrava rigorosamente in rima.
Ma in realtà Tofano (che firmava i suoi disegni con la sigla Sto) era un disegnatore tutt’altro che infantile: ne sono prova le elegantissime illustrazioni di moda per Vanity Fair (che avrebbe voluto che si trasferisse negli Stati Uniti come disegnatore fisso) e le copertine degli scandalosi romanzi di Pitigrilli.
Perfezione, eleganza e il buon gusto: parole d’ordine per il Tofano autore e illustratore, come per il Tofano attore, l’altra attività a cui dedicò tutta la vita; e dunque, come testimonia Alfredo Bianchini, perfezione del trucco e del costume, pulizia estrema della recitazione, nell’intonazione e nella dizione. Era l’attore più moderno e raffinato che io abbia mai visto recitare; in lui tutto era essenziale, privato, pulito. (Monica Vitti). Perfezione, eleganza e buon gusto erano per lui una norma di vita, che lo caratterizzava fin da giovane, quando per la cura maniacale nel vestire era soprannominato, soprattutto dalle donne, “Mifaraimorire”.
Se Tofano attore esce dalla Scuola di recitazione dell’Accademia di Santa Cecilia in Roma, se il Tofano autore può vantare una laurea in Lettere, il Tofano illustratore è invece autodidatta; autodidatta sì, ma formatosi comunque a scuola: riempiendo di pupazzetti i bordi dei libri di scuola, durante le ore di lezione!
Ma torniamo al nostro Bonaventura, a Bonaventura e al suo bassotto dall’improbabile color giallo (nessuno mi toglierà dalla testa che il cavallo giallo del Brancaleone di Monicelli sia derivato direttamente da quel cane). Non possiamo immaginarli senza le rime e, in un certo senso, almeno per quel che riguarda il bassotto, non poteva farlo nemmeno Tofano: perché se Bonaventura, come Minerva dalla testa di Giove, nacque dalla testa del suo creatore, senza bisogno di madre quindi, il bassotto, come racconta lui stesso, una madre l’ebbe: fu figlio di una rima che non veniva:

Qui comincia la sciagura
del signor Bonaventura,
che, cogliendo un gelsomino
dalla loggia del vicino,
troppo sportosi di fuore
per raggiungere quel fiore
capitombola di sotto

Di sotto.. di sotto... come concludere? Ah! Perché non così?

lui, col fido suo bassotto.

Il che, miei diletti, c’insegna una cosa: che, se la poesia (e, quando parlo di poesia, io intendo un testo in forma metrica e con le rime, sia chiaro) è un perfetto equilibrio fra contenuto e contenente, fra significati e suoni, il poeta non deve limitarsi ad adattare le parole al significato, ma deve anche saper adattare il significato alle parole; in altri termini: il poeta guida la parola, ma contemporaneamente la parola guida il poeta. E, per dirla tutta, la rima può essere generatrice di significati.
E, visto che ce l’abbiamo sott’occhio, non possiamo non notare l’arcaicità e la letterarietà del termine fuore, usato per fare rima con fiore. La poesia italiana (melodramma compreso), fino a tutto l’Ottocento e a differenza di quelle straniere, era caratterizzata da un linguaggio aulico e letterario nettamente differenziato da quello della prosa. È a quella tradizione che Tofano attinge, quando gli manca una rima. Potrebbe sembrare un difetto ma, in realtà, usando questi termini trasforma una debolezza – la difficoltà di fare una rima – in un ulteriore punto di forza: suscitare un sorriso per la sproporzione fra l’aulicità del termine e il contesto di filastrocca infantile, nonché la prosaicità della situazione. Che Tofano sia perfettamente cosciente di questa operazione, e che la utilizzi anche quando potrebbe evitarlo, mi sembra evidente, almeno in questo caso: avrebbe potuto, semplicemente, cavarsela così:

Qui comincia la sciagura
del signor Bonaventura,
che, cogliendo gelsomini
dalla loggia dei vicini,
troppo sportosi di fuori
per raggiungere quei fiori
capitombola di sotto
lui, col fido suo bassotto.

Usando invece un termine arcaico ottiene un ulteriore effetto: la difficoltà dell’esercizio, in tal modo evidenziata, aumenta lo stupore per la sua soluzione acrobatica.
Escono così dalla penna di Tofano quegli ottonari dalla grazia impareggiabile: C’erano, intanto, quei versetti accurati, limpidi, seminati con discrezione di qualche paroletta rara, di qualche rima acrobatica, insomma, di suoni inattesi: l’effetto della loro musica era quello di un’ infinita serie di variazioni sullo stesso tema. Un effetto di magia. (Gianni Rodari)

Che Bonaventura passasse dalle tavole disegnate del Corriere dei Piccoli alle tavole calpestate del palcoscenico era inevitabile: nelle 6 commedie che ne nacquero si fusero così tutte le competenze di Tofano, che ne fu l’autore, l’attore, il regista e, quasi sempre, lo scenografo e il costumista.
Con questo passaggio le storie di Bonaventura si arricchiscono: non abbiamo più una narrazione regolare in ottonari, ma dialoghi scoppiettanti, dal metro sempre variabile, dove i personaggi si rimpallano i versi e giocano con le paronomasie, le assonanze e le rime; il tutto viene sottolineato dalla musica (perché di commedie musicali si tratta) e dalle gag gestuali. Passando dalla bidimensionalità delle vignette alla tridimensionalità della scena teatrale, paradossalmente, Bonaventura diventa ancora più astratto e stilizzato.
Tofano si dimostra un vero mago della parola (mai lusso, ma lesso, / me lasso!... con l’osso! mai spasso, ma spesso / mi sposso, mi sposso!...) e un virtuoso della rima (Qui comincia la sciagura [...]: 26 rime consecutive in –ura, più 4 interne!).
In opposizione a tanti pedagoghi e a tante (troppe!) poesie didascaliche (come quelle raccolte da Luigi Sailer ne L’arpa della fanciullezza, che aveva imperversato alla fine dell’Ottocento), Tofano rivendica il carattere di puro divertimento del suo teatro: il vero addestramento alla vita è il gioco: [...] per carità, niente quadretto familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie patetico-sentimentali [...] E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante ed educativa. Capita così di rado che i bambini si possano portare a teatro: quelle poche volte che capita, facciamoli ridere, poveri piccoli: e non stiamo lì col fucile puntato della morale, della religione, dell’amor patrio, dell’educazione, per conficcar loro in testa una volta di più quello che possono e devono imparare a casa dai genitori, a scuola dai maestri, al catechismo dal parroco. Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro: ché ogni loro risata accenderà un raggio in più di felicità nella loro esistenza, predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà: più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e,  soprattutto, della retorica.
Ridere con qualunque mezzo, purché, s’intende, di buon gusto: [...] quella del buon gusto, deve essere la nota dominante in un teatro per bambini. Essi, d’accordo, non sapranno capirla né apprezzarla al punto giusto, ma inconsciamente la sentiranno e l’assorbiranno, e inconsciamente educheranno così il loro senso estetico al gusto del bello. Chi sa che per tale via non si arrivi a guarire un giorno quello che è il vizio capitale in tutto il nostro teatro per piccoli e per grandi: la mancanza, nel pubblico, negli autori, negli attori, di un po’ di buon gusto!
(Scenario, maggio 1937)

Sergio Tofano muore il 28 ottobre 1973; esattamente 56 anni prima, il 28 ottobre 1917, sul n. 43 del Corriere dei piccoli era nato il signor Bonaventura.

Finalmente la scrittura
sul signor Bonaventura
per finire tosto sto:
posto il testo e sosto, Sto.


LETTURE CONSIGLIATE

Sergio Tofano ha scritto anche racconti; qui si indica una scelta delle opere in rima.
- Sto, Novantanove storie del signor Bonaventura, Milano, Garzanti, 1964.
Antologia delle tavole a colori del Corriere dei Piccoli. Ormai fuori commercio, è reperibile sul mercato antiquario.
- Sergio Tofano, Il teatro di Bonaventura, Milano, Adelphi, 1986.
            Contiene le 6 commedie musicali dedicate a Bonaventura.
- Sto, Storie di cantastorie, Milano, Adelphi, 1991, 2008.
            Storie raccontate sotto forma di filastrocca.


SITI INTERNET

Sito molto bello, ricco di immagini e di informazioni (utilizzate per preparare questo post), curato dal figlio Gilberto.

            Bell’articolo – e molto informato – di Ferruccio Giromini.

Il ritratto di Sergio Tofano viene da una cartolina, presumibilmente degli anni ’20, conservata presso il Museo Franco Fossati:
http://www.lfb.it/fff/fumetto/aut/s/sto.htm


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5 commenti:

  1. Complimenti! Davvero un'idea divertente... E bella da leggere.
    Francesca

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  2. Complimenti, Sto - nato:)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ma non "nato Sto", ohibò! Tra i "rimaioli" Sergio Tofano è quello per cui sento più affinità. Il titolo della mia FILASTROCCA DEI VERSI DIVERSI (E DEI VERBI CHE DEVON SAPERSI)(ne "Il corvo con la cra-cravatta") è un omaggio alla sua FILASTROCCA DEI CENTO ANIMALI (DELLE ORECCHIE STURATE I CANALI).

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