IL LONFO
(Detto da Gigi Proietti: clic)
(Interpretazione musicale di
Coky Ricciolino: clic)
(Interpretazione musicale di
Massimo Altomare e Stefano Bollani: clic)
Il
lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,1
ma quando soffia il bego a
bisce bisce2
sdilenca un poco, e gnagio
s’archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di
lupigna3
arrafferia malversa e
sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e
t’arrupigna
se lugri ti botalla e ti
criventa.4
Eppure il vecchio lonfo
ammargelluto4
che bete e zugghia e fonca nei
trombazzi6
fa lègica busìa, fa gisbuto;7
e quasi quasi, in segno di
sberdazzi8
gli affarfaresti un gniffo. Ma
lui zuto9
t’alloppa, ti sbernecchia; e
tu l’accazzi.10
1. ... non vaterca:
espressione dialettale marchigiana, dal volgare «Vai a Terchi» (paese del
Piceno famoso per i vespasiani in pietra serena). Comunque vatercare – così
come mingere controvento – è cosa che il lonfo evita accuratamente di fare.
...raramente barigatta: non
esistono testimonianze dirette che possano suffragare la teoria che ogni lonfo
– in gioventù o nell’età matura – sia solito barigattare. Vittoria Contini
Serpieri, nel suo Tutto quello che avreste voluto sapere sul barigatto ma
non avete mai osato chiedere! (Edizioni La Lanterna, Genova, 1937), tratta
ampiamente l’argomento ma nel suo esauriente testo non fa alcun cenno né al
lonfo né ai lonfoidi in genere.
2 . ...soffia il bego a
bisce bisce: è quel modo ignorante e fastidioso di spifferare a raffica che
ha il vento di tramontana nella provincia di Bergamo («El bego sifùla cumpàgn
al serpentùn»). Quando l’aria ghiaccia sferza il naso e le orecchie ogni buon
cristiano è portato a sdilencare -
magari archipattando (zompettando sotto i portici) – come fanno i lonfi
sprovvisti di cappotto col colletto di pelliccia.
3. ...frusco ...pieno di
lupigna: che sono poi la stessa cosa, lo stesso stato di agitazione (e di
rabbia) che assale il lonfo prima della castratura. «Meglio esser fruschi che
cantare in chiesa» recita il motto dei cercatori di tartufo d’Alba che, quanto
a lupigna, non sono secondi a nessuno e tante ne avrebbero da raccontare.
4 . Se cionfi ti sbiduglia
e t’arrupigna: mai cionfare davanti a un lonfo! È segno di mancanza di
rispetto. È buona regola cionfare quando i lonfi, specialmente quelli giovani e
irruenti, sono impegnati nella sbatarchiatura o nello sgrondolìo. Solo così si
può evitare una sbidugliatura (spettinatura da scapaccioni) o – peggio ancora –
una sonora arrupignatura (contemporanea torsione manuale – molto dolorosa – delle
orecchie: la destra verso il basso, la sinistra verso l’alto).
5. ...ammargelluto:
altra voce dialettale (napoletana) che però non riguarda solo i lonfi, ma tutti
coloro che eccedono nel consumo di pizza Margherita e cannoli alla crema. Un
famoso uomo politico italiano, costantemente ammargelluto, è il senatore
repubblicano Giovanni Spadolini che mal sopporta i lonfi per la loro arcinota
fedeltà alla monarchia.
6. ...fonca nei trombazzi:
foncare nei trombazzi è considerato atto immondo (ma non per i lonfi) dal 1947,
cioè dall’entrata in vigore della legge Bardelli-Lastrucci-Trerè (DC-PLI-PSDI)
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 23/7/1947. Legge che all’articolo 2 –
secondo capoverso – dice «...e quindi con effetto retroattivo, dal 1° gennaio
1947 è fatto divieto a chiunque di foncare nei trombazzi, pubblici o privati
che siano, siti in frazioni, paesi e città di tutto il territorio della
Repubblica Italiana».
7. ...fa gisbuto: «Il
far gisbuto è d’uopo perché goder m’aggrada» cantava Lorenzo il Magnifico alle
nobildonne della Signoria. Ma, mentre per ogni lonfo in grado di procreare il
significato erotico dell’espressione è tuttora rimasto invariato, per la
stragrande maggioranza degli altri tale significato è andato via via mutando
fino ad arrivare all’attuale comune interpretazione. Come riporta ogni
dizionario che si rispetti fare gisbuto, oggi, equivale a fare lo gnorri (colui
che gnorra).
8. ...in segno di
sberdazzi: il più classico e conosciuto segno di sberdazzi è quello che
fanno i generali quando perdono una battaglia (Cambronne docet!). I lonfi,
invece, sottolineano certi momenti di rabbia drizzando il dito medio della mano
sinistra e puntandolo verso il cielo o, se trattasi di lonfo ateo, verso il
meridiano di Greenwich.
9. ...zuto: ma è raro
che un lonfo stia zuto. Di solito preferisce farne a meno. Alcuni lonfi,
ovviamente i più carismatici, non stanno zuti nemmeno davanti a un’autorità.
10. ...e tu l’accazzi:
solo chi ha provato sa quanto sia pericoloso, e nello stesso tempo esaltante, accazzare
un lonfo. Infatti esistono solo due possibilità di accazzare un lonfo senza
rimetterci la ghirba: o te lo ha chiesto lui o – per i lonfi ministeriali –
sborsando una discreta somma in contanti.
IL GIORNO AD URLAPICCHIO
(Letto da Fosco Maraini: clic)
(Interpretazione musicale di
Massimo Altomare e Stefano Bollani: clic)
Ci son dei giorni smègi e
lombidiosi1
col cielo dagro e un fònzero
gongruto2
ci son meriggi gnàlidi e
budriosi3
che plògidan sul mondo
infrangelluto,4
ma oggi è un giorno a zìmpagi
e zirlecchi5
un giorno tutto gnacchi e
timparlini,6
le nuvole buzzìllano, i
bernecchi7
ludèrchiano coi fèrnagi tra i
pini;8
è un giorno per le vànvere, un
festicchio
un giorno carmidioso e
prodigiero,9
è il giorno a cantilegi, ad
urlapicchio10
in cui m’hai detto «t’amo per davvero».
1. ...smègi: come dice
il protagonista de La città morta di D’Annunzio: «Un giorno smègio mi
donasti i baci».
...lombidiosi: pieni di
appuntamenti e di opportunità ma non sempre favorevoli. Classico giorno
lombidioso fu il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi). Proprio quel giorno Caio Giulio
Cesare venne raggiunto da ben ventitré sorprese, a mezzo pugnale, che posero
fine a ogni suo cruccio.
2. ...fònzero gongruto:
vento di scirocco umido e attaccaticcio. Quando soffia per lunghi periodi le
vesti della gente si trasformano in carta moschicida e le forme di pecorino si
squagliano come la ceralacca vicino al fuoco.
3. ...meriggi gnàlidi:
i classici pomeriggi dell’isola di Giava adatti alla coltivazione di riso,
canna da zucchero e tabacco. Per la coltivazione del cocomero, invece, sono più
adatti i meriggi manfàni del golfo di Taranto.
...budriosi: col sole o senza
sole: a piacere.
4. ...infrangelluto:
espressione napoletana che significa
«infastidito, scoglionato». Il femminile «infrangelluta» descrive perfettamente quella dolorosa
espressione che assumono alcuni politici quando vengono trombati alle elezioni:
«Poverello... mo’ vedrai che faccia infrangelluta ci viene a Don Rafele!»
5. ...zìmpagi e zirlecchi:
ambedue le espressioni vengono dal più puro dialetto milanese. Mentre zìmpagi
sta per «spinte, pigiature» (es.: el muturìn del Gianni el va minga senza
zìmpagi), zirlecchi significa «saltelli, ballonzolii» (es.: el stradùn che
purtava a Rogoredo l’era tucc un bùs e inscì el furgùn faseva na sfilada de
zirlecchi).
6. ...gnacchi e timparlini:
mutuati dall’antico sassone (ted. gnakken und thimparlen). Ancora oggi in
Germania gli gnacchi e i timparlini sono quei ciondoli che adornano la coda
degli aquiloni o le ruote in cima al palo della cuccagna (cfr. F.M. Trabuchk, Spielen
mit die Karussel, Arcibildung, Bonn, 1955). In questo caso il poeta usa
metaforicamente tali vocaboli per significare gaiezza, giovialità e speranza
nel domani.
7. ...le nuvole buzzìllano:
quando non tira vento forte e quando la temperatura è tra i sedici e i
diciannove gradi centigradi. Se cala il vento e la temperatura scende,
smettono.
... i bernecchi: ginnocèfali,
passeracci dentirostri color ruggine dal capo quasi nudo (scient. Gymnocephalus
calvus) che muggiscono come vitelli. Vivevano solo in Brasile ma migrarono
in Italia al seguito del calciatore Socrates (Fiorentina Football Club).
Ludèrchiano coi fèrnagi.
8. ...fèrnagi: pettirossi,
passeracci di sinistra (scient. Sylvia rubecola). Vivono sui pini e
ludèrchiano coi bernecchi.
9. ...giorno carmidioso e
prodigiero: come ha spiegato molte volte il colonnello (poi generale), che
leggeva le previsioni del tempo alla televisione, i giorni si dividono in «carmidios»i
e in «prodigieri». I primi iniziano col cielo sereno e finiscono col cielo
nuvoloso, i secondi iniziano col cielo nuvoloso e finiscono col cielo sereno.
Da ciò è facile dedurre che il giorno descritto dal poeta è iniziato col cielo
sereno, è diventato nuvoloso verso mezzogiorno poi, nel pomeriggio, si è
uteriormente rannuvolato rasserenandosi verso la fine della giornata.
10. ...ad urlapicchio:
quando le nuvole buzzìllano e i bernecchi ludèrchiano coi fèrnagi; quando tutto
è carmidioso e prodigiero; quando lei vi ama...
(Le note sono di Maro Marcellini.)
FOSCO MARAINI
(Firenze, 1912 – Ivi,
2004)
con la famiglia
(da sinistra) Yuki, la prima moglie Topazia Alliata, Dacia e Toni
(foto di Oishi
Kuranosuke)
La vita di
Fosco Maraini si svolge all’insegna della tensione fra polarità opposte:
– di padre italiano e di madre
figlia di un inglese e di una polacca, cresce fra cattolicesimo e
protestantesimo: Essendosi comunque sviluppato il
mio endocosmo in Toscana, quindi in Italia, le primissime scosse culturali che
ho avuto sono state legate alla scoperta del mondo protestante, molto diverso
da quello cattolico. Mia mamma era inglese, ma si era molto italianizzata. Ma c’erano delle zie inglesi che invece restavano
solidamente ancorate all’endocosmo protestante: il contatto con loro mi ha rivelato quale profonda distanza
ci possa essere tra i mondi interiori di ciascuno. (F. M.); un esempio? Eccolo: Il cibo rivela molto di una cultura. Da bambino, durante
un’assenza dei miei genitori, una mia zia inglese venne a stare con noi.
Davanti alle mie lamentele per i suoi piatti davvero immangiabili, se ne uscì
con l’affermazione, per me strabiliante:
“My dear boy, food must not taste good.” Il cibo deve servire per nutrire, non deve essere buono: questo è un punto di vista tipicamente protestante, assolutamente incomprensibile per un cattolico. Perché per un cattolico ci sono i digiuni, ma solo in certi periodi c’è il magro, ma insomma anche il magro può essere ben condito. (F. M.);
“My dear boy, food must not taste good.” Il cibo deve servire per nutrire, non deve essere buono: questo è un punto di vista tipicamente protestante, assolutamente incomprensibile per un cattolico. Perché per un cattolico ci sono i digiuni, ma solo in certi periodi c’è il magro, ma insomma anche il magro può essere ben condito. (F. M.);
– figlio di artisti (il padre
Antonio Maraini è scultore, la madre Yoi Crosse è scrittrice), prende una
laurea scientifica, in Scienze Naturali;
– applica il rigore scientifico
alla ricerca umanistica, dedicandosi agli studi etnografici;
Un
termine che ho spesso usato con un certo divertimento è quello di Citluvit, che
sarebbe il Cittadino Luna Visita
Istruzione Pianeta Terra.
Io penso
che l’endocosmo del Citluvit mi sarebbe molto congeniale.
Gli
appartiene il desiderio di scoperta e di esplorazione. Fin da bambino, bilingue
e dalla doppia nazionalità, ho
vissuto ogni esperienza come un’avventura e una scoperta, proprio come il Clé
di Case, amori, universi.
– di cultura occidentale, si
dedica allo studio dell’Oriente: gira tutta l’Asia, esplora il Tibet e studia
il Giappone;
Negli
anni ‘30 non era poi così eccezionale andare in Asia orientale. Solo che ci volevano quaranta giorni di viaggio [...].
Era
un viaggio lungo, lento, qualche volta anche penoso, sia per il cattivo mare sia per il caldo, ma si vedeva tanto
mondo, si imparavano tante cose: era come
fare un autentico “corso in asiologia”. Si
cominciava dall’Egitto, poi Bombay, Colombo, Manila e finalmente Shanghai, da
dove si andava a Kobe. Quei sette e otto porti che si vedevano erano tutti
interessantissimi, nel senso che c’erano persone diverse, costumi diversi,
odori diversi, suoni diversi, cieli diversi: era davvero appassionante. Se penso che adesso bastano undici ore per arrivare a
Tokyo, senza aver visto niente, credo proprio
che fra i due sistemi, l’antico era migliore. (F. M.);
– laureato in Scienze Naturali
presso l’Università di Firenze, vi ritornerà come docente, ma per insegnarvi
Lingua e Letteratura Giapponese;
– Si sposa due volte, da giovane
con la nobildonna siciliana Topazia Alliata, in tarda età con la giapponese
Mieko Namiki.
È da questo
humus che nasce il gusto per la sonorità delle parole: il fatto d’esser
cresciuto parlando lingue diverse, e d’averne poi imparate delle altre, alcune di cui peregrine assai, mi ha reso
cosciente sin da piccolo della parola come oggetto, cosa, fastello di suoni,
polline di sogni. [...] Pian piano imparai ad amare le parole col gusto che il
musicista ha per i suoni e per i timbri, il pittore per i colori e gli impasti,
lo scultore per le forme e la pelle della materia; ma in più c’era tutta
l’infinita ricchezza semantica, il mondo sconfinato dei pensieri e dei
sentimenti che le parole risvegliano e mettono in moto, che sono capaci
d’evocare con precisione terribile o vaghezza dolcissima. (F. M.,
Introduzione a Gnòsi delle fànfole)
Da qui nasce
l’amore per i dizionari e soprattutto per le nomenclature e, ancora di più, per
i nomi di luogo. Termini scientifici estremamente evocativi, come quelli che
designano le terre rare, per esempio, scoperte nei suoi studi scientifici:
Lantanio, Praseodimio, Ittrio, Olmio, Erbio, Disprosio... certo Disprosio fu
qualcuno! [...] Forse, anzi certo, era un filosofo «Lo ha detto Disprosio
stesso.» Ma poteva anche essere uno squisito di qualche luminosa decadenza, tra
bizantina e tardogallica. Parlare delle «delizie di Disprosio, dei giardini di
Disprosio, delle alcove di Disprosio» parrebbe singolarmente appropriato, no?
(F. M., Introduzione a Gnòsi delle fànfole). Oppure nomi di luogo
intelleggibili come quelli dei monti Paglia Orba e Incudine o misteriosi come
il Deserto degli Agriati (in Corsica)
Da quei
termini scientifici inusuali e da questi curiosi nomi di luogo alle parole
inventate delle fanfole il passo è breve.
Sono parole
inventate che leggiamo (o sentiamo) per la prima volta, eppure risultano
singolarmente evocative: qual è il loro segreto? La chiave ce la dà il titolo
stesso della raccolta: quelle fanfole che sono un organismo OGM
(OrtoGraficamente Modificato): un montaggio di fole e pezzi di fanfaluche,
con abbondante uso della fantasia.
Proviamo a
esaminare Il giorno a urlapicchio. Smègi evoca mogi, ma
anche sfregi (notare la “e” larga che appesantisce il tutto); carmidioso
sembra una legittima derivazione da carme (incrociato con radioso
o con melodioso?) e prodigiero non è che una variante genetica di
prodigioso (provate a invertire: carmidiero e prodigioso:
il primo perde di forza, il secondo diventa troppo ovvio). Naturalmente non
sempre le corrispondenze sono così precise; a volte i richiami sono labili: zìmpagi
e zirlecchi evocano zompi e zampilli, a volte il gioco è
completamente gratuito: i bernecchi e i fèrnagi, per esempio
(però è chiaro cosa fanno, perché luderchiano deriva chiaramente dal
latino ludus = gioco).
Non mancano le
onomatopee: gnàlidi fa pensare all’importuno gnaulare di un
gatto; gnacche suggerisce un colpo secco ed energico (un fumettistico gnac
risciacquato in Arno).
Ma conta molto
anche il ritmo e la posizione degli accenti: l’atmosfera plumbea e stagnante
iniziale è sottolineata dalla predominanza delle parole piane e con poche
consonanti doppie, mentre l’eccitazione finale è resa mediante un abbondante
uso di parole sdrucciole e di consonanti doppie.
Si tratta
dunque di invenzioni verbali tutt’altro che gratuite e, quindi, tutt’altro che
facili: Confesserò inoltre – ciò che farà ridere, o peggio sorridere, i
benpensanti – che quasi ogni parola è frutto d’un lungo studio. Certe
espressioni proprio non mi venivano per mesi, sapevo quello che cercavo, ma il
sassolino giusto la marea non me lo gettava mai sulla spiaggia. Poi un certo
giorno, magari facendomi la barba, cambiando una gomma della macchina,
studiando gli ideogrammi cinesi o seduto sulla neve al sole, eccoti il
sassolino cercato. (F. M., Introduzione a Gnòsi delle fànfole)
Fosco Maraini
definisce “metasemantica” la sua poesia: se nel linguaggio usuale per creare
una parola nuova si parte dal significato (canna + occhiale = cannocchiale; pro
+ fanum (“davanti al tempio”, cioè “fuori dalle sacre cose”) = profano;
béchamel, dal nome del marchese di Béchamel), nel linguaggio metasemantico Proponi
dei suoni ed attendi che il tuo patrimonio d’esperienze interiori, magari il
tuo subconscio, dia loro significati, valori emotivi, profondità e bellezze. È
dunque la parola come musica e scintilla (F. M., Introduzione a Gnòsi
delle fànfole): la parola come materiale sonoro, in primo luogo, che, in
secondo luogo, “accende” il significato.
Ne risulta una sorta di poesia al
quadrato:
– se infatti il linguaggio poetico, a differenza del linguaggio
comune, non è (tendenzialmente) univoco, ma è pregno di significati multipli,
rimandi e suggestioni, non solo mentali, ma anche sonore;
– se inoltre, il testo poetico è bipolare, costituendo il tramite
fra scrittore e i lettori, che lo decodificano e interpretano ciascuno secondo
la propria personalità e cultura,
è evidente come tutto queste
caratteristiche, nel caso della poesia metasemantica, si amplifichino a
dismisura.
Il rischio è
che si amplifichino così tanto da precludere una qualsiasi comprensione, per
quanto vaga. Rischio, mi sembra, sostanzialmente evitato. Paventando, fra il
serio e il faceto, questo rischio, Maro Marcellini ha aggiunto alle fanfole
di Maraini un vasto apparato di note che a volte chiariscono i significati ma
più spesso fingono semplicemente di farlo, prendendo a prestito e mettendo così
alla berlina il linguaggio serioso del mondo accademico. E ci prende gusto: a
fronte di mezza pagina di poesia, ne troviamo due di note! Ma ci prende gusto
anche il lettore, perché le note sono altrettanto godibili delle poesie.
NOTA
Versione corretta l’8 ottobre,
sera: nella precedente versione non avevo rilevato il contributo di Maro
Marcellini. Me ne scuso con tutti.
LETTURE CONSIGLIATE
Io
vi consiglierei caldamente
Fosco Maraini, Gnòsi delle fànfole,
Milano, Baldini Castoldi Dalai editore, 2a ed., 2007,
che contiene
il CD con la versione musicale delle Fànfole, di Massimo Altomare e Stefano
Bollani; ma purtroppo il libro è esaurito, come pure la prima edizione dello
stesso editore – senza CD – del 1994.
L’edizione di
Baldini e Castoldi rappresenta l’ampliamento della prima pubblicazione delle Fànfole:
un’edizione privata, in 300 copie (Bari, 1966); in www.maremagnum.com se ne
trova in vendita una copia: basta sborsare 350 euro!
SITI INTERNET:
Sito
“morto”, ma contenente interessanti citazioni di Fosco Maraini.
Pagina del
sito del Gabinetto Scientifico Letterario G. P. Viessieux, dedicata a Fosco
Maraini, di cui conserva la biblioteca e la fototeca.
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SEI UN GRANDE
RispondiEliminatroppo buona!
EliminaUn articolo preziosamente cosmogonico,che illumina una giornata di misantropa uggia
RispondiEliminaSe non possiamo cambiare il tempo, cerchiamo di cambiare l'umore!
Eliminametafisica epistolosa supercalifragilistichespiralidosa
RispondiElimina:)
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