[dalla scena seconda:]
BONAVENTURA Spazzare... spazzare... sempre la stessa
storia.
Oramai spazzo a memoria.
Con questa scopa mi coprirò di
gloria.
[puoi ascoltare l’mp3 qui]
Lavoro da pazzo
che dura da un pezzo,
la schiena mi spezzo
ma spazzo, ma spazzo.
Quand’ho quest’attrezzo
non chiedo rimpiazzo,
disprezzo ogni prezzo
ma spazzo, ma spazzo!
Dimesso, sommesso,
lavoro se posso...
ma oppresso compresso
mi sposso, mi sposso!...
mai lusso, ma lesso,
me lasso!... con l’osso!
mai spasso, ma spesso
mi sposso, mi sposso!...
[dalla scena quinta:]
[puoi
ascoltare l’mp3 qui]
CECÈ Io, bellissimo Cecè,
quando vo per la città
son guardato più di un re,
più ammirato d’un pascià!
BONAVENTURA Vero, ma...
CECÈ Sacrosanta verità!
PICCININA Ah!...
Ah!
CECÈ Alto il capo, agile il piè
vispo come un colibrì,
ho quel certo non so che
per piacere lì per lì...
BONAVENTURA Ma bensì...
CECÈ Poche chiacchiere, è così!
PICCININA Ih!...
Ih!
CECÈ Impeccabile il gilet
la cravatta rococò
e il nontiscordardimé
all’occhiello, comme il faut!
BONAVENTURA Ma però...
CECÈ Contraddirmi non si può!
PICCININA Oh!...
Oh!
CECÈ Le regine invito al tè,
con i re sto a tu per tu,
sono celebre perché
valgo, caspita, un perù!
BONAVENTURA Su per giù...
CECÈ Anzi, valgo molto più!
PICCININA Uh!...
Uh!
CECÈ (lancia
sui due un’occhiata di superiorità sdegnosa e si avvia tronfio alla porta di
fondo: passando davanti al manichino sormontato dal cappello, si ferma un
attimo, come in presenza di una dama, fa una grande scappellata, un profondo
inchino ed esce pettoruto. La piccinina tira un altro sospiro e lo segue).
[dalla scena sesta:]
BONAVENTURA (imitando
Cecè)
Son
sempre quello,
sempre
più bello,
sembro
un fringuello!
E
adesso, ricominciamo a lavorare.
Spazzare,
spazzare, sempre spazzare,
prima,
durante e dopo,
di
mia vita la scopa è lo scopo.
(Si siede in
mezzo alla scena e spazza da sedere, calmo, calmo, come se remasse
accompagnando ritmicamente l’andare e venire della scopa in cadenza coi versi
un po’ cantilenati della seguente filastrocca)
[puoi
ascoltare l’mp3 qui]
Qui
comincia la sventura
del signor
Bonaventura!
Vita dura,
sorte oscura,
maledetta
iettatura,1
che
tortura addirittura
per
un’anima sì pura
di spazzar
la spazzatura!
Dal
mattino all’apertura,
alla sera
alla chiusura,
con il
freddo e la calura,
tutto il
dì fra quattro mura
vera vita
di clausura,
che
mestier da far paura,
malsicura
congiuntura
per me
povera creatura
così ricca
di coltura
aver cura
con premura
di spazzar
la spazzatura!
Qui
comincia la sventura
del signor
Bonaventura!
Ma che
bella seccatura!
La fortuna
mi trascura,
la
disdetta è duratura,
contro me
tutto congiura,
se alla
pena do la stura
cresce il
duolo a dismisura.
Qui nel
cuore ho una puntura,
e il
cervello va in cottura,
onde avrò
presto immatura
giacitura
in sepoltura!
Qui
comincia la sventura
del signor
Bonaventura!...
(Adagio
adagio la voce gli si è smorzata, finché sull’ultimo verso è già addormentato
appoggiato alla scopa. [...]).
1 – Verso non presente
nell’edizione Adelphi.
(da Qui comincia la sventura del signor Bonaventura, 1927)
SERGIO TOFANO
(Roma, 20 agosto 1886 – Roma, 28 ottobre 1973)
Si dice Sergio Tofano e subito
vengono alla mente, da un passato che sembra lontanissimo, le tavole un po’ naïf
del signor Bonaventura, storie arcaiche di un tempo in cui non si parlava in
prosa dentro alle nuvolette ma si narrava rigorosamente in rima.
Ma in realtà Tofano (che firmava
i suoi disegni con la sigla Sto) era un disegnatore tutt’altro che infantile:
ne sono prova le elegantissime illustrazioni di moda per Vanity Fair
(che avrebbe voluto che si trasferisse negli Stati Uniti come disegnatore
fisso) e le copertine degli scandalosi romanzi di Pitigrilli.
Perfezione, eleganza e il buon
gusto: parole d’ordine per il Tofano autore e illustratore, come per il Tofano
attore, l’altra attività a cui dedicò tutta la vita; e dunque, come testimonia
Alfredo Bianchini, perfezione del trucco e del costume, pulizia estrema della
recitazione, nell’intonazione e nella dizione. Era l’attore più moderno e
raffinato che io abbia mai visto recitare; in lui tutto era essenziale,
privato, pulito. (Monica Vitti). Perfezione, eleganza e buon gusto erano
per lui una norma di vita, che lo caratterizzava fin da giovane, quando per la
cura maniacale nel vestire era soprannominato, soprattutto dalle donne,
“Mifaraimorire”.
Se Tofano attore esce dalla Scuola di recitazione dell’Accademia di
Santa Cecilia in Roma, se il Tofano autore può vantare una laurea in Lettere,
il Tofano illustratore è invece autodidatta; autodidatta sì, ma formatosi
comunque a scuola: riempiendo di pupazzetti i bordi dei libri di scuola,
durante le ore di lezione!
Ma torniamo al nostro Bonaventura, a Bonaventura e al suo bassotto
dall’improbabile color giallo (nessuno mi toglierà dalla testa che il cavallo
giallo del Brancaleone di Monicelli sia derivato direttamente da quel
cane). Non possiamo immaginarli senza le rime e, in un certo senso, almeno per
quel che riguarda il bassotto, non poteva farlo nemmeno Tofano: perché se
Bonaventura, come Minerva dalla testa di Giove, nacque dalla testa del suo
creatore, senza bisogno di madre quindi, il bassotto, come racconta lui stesso,
una madre l’ebbe: fu figlio di una rima che non veniva:
Qui comincia la sciagura
del signor Bonaventura,
che, cogliendo un gelsomino
dalla loggia del vicino,
troppo sportosi di fuore
per raggiungere quel fiore
capitombola di sotto
Di sotto.. di sotto... come concludere? Ah! Perché non così?
lui, col fido suo bassotto.
Il che, miei diletti, c’insegna una cosa: che, se la poesia (e, quando
parlo di poesia, io intendo un testo in forma metrica e con le rime, sia
chiaro) è un perfetto equilibrio fra contenuto e contenente, fra significati e
suoni, il poeta non deve limitarsi ad adattare le parole al significato, ma
deve anche saper adattare il significato alle parole; in altri termini: il
poeta guida la parola, ma contemporaneamente la parola guida il poeta. E, per
dirla tutta, la rima può essere generatrice di significati.
E, visto che ce l’abbiamo
sott’occhio, non possiamo non notare l’arcaicità e la letterarietà del termine fuore,
usato per fare rima con fiore. La poesia italiana (melodramma compreso),
fino a tutto l’Ottocento e a differenza di quelle straniere, era caratterizzata
da un linguaggio aulico e letterario nettamente differenziato da quello della
prosa. È a quella tradizione che Tofano attinge, quando gli manca una rima.
Potrebbe sembrare un difetto ma, in realtà, usando questi termini trasforma una
debolezza – la difficoltà di fare una rima – in un ulteriore punto di forza:
suscitare un sorriso per la sproporzione fra l’aulicità del termine e il
contesto di filastrocca infantile, nonché la prosaicità della situazione. Che
Tofano sia perfettamente cosciente di questa operazione, e che la utilizzi
anche quando potrebbe evitarlo, mi sembra evidente, almeno in questo caso:
avrebbe potuto, semplicemente, cavarsela così:
Qui comincia la sciagura
del signor Bonaventura,
che, cogliendo gelsomini
dalla loggia dei vicini,
troppo sportosi di fuori
per raggiungere quei fiori
capitombola di sotto
lui, col fido suo bassotto.
Usando invece un termine arcaico
ottiene un ulteriore effetto: la difficoltà dell’esercizio, in tal modo
evidenziata, aumenta lo stupore per la sua soluzione acrobatica.
Escono così dalla penna di Tofano
quegli ottonari dalla grazia impareggiabile: C’erano, intanto, quei versetti
accurati, limpidi, seminati con discrezione di qualche paroletta rara, di
qualche rima acrobatica, insomma, di suoni inattesi: l’effetto della loro
musica era quello di un’ infinita serie di variazioni sullo stesso tema. Un
effetto di magia. (Gianni Rodari)
Che Bonaventura passasse dalle
tavole disegnate del Corriere dei Piccoli alle tavole calpestate del
palcoscenico era inevitabile: nelle 6 commedie che ne nacquero si fusero così
tutte le competenze di Tofano, che ne fu l’autore, l’attore, il regista e,
quasi sempre, lo scenografo e il costumista.
Con questo passaggio le storie di
Bonaventura si arricchiscono: non abbiamo più una narrazione regolare in
ottonari, ma dialoghi scoppiettanti, dal metro sempre variabile, dove i
personaggi si rimpallano i versi e giocano con le paronomasie, le assonanze e
le rime; il tutto viene sottolineato dalla musica (perché di commedie musicali
si tratta) e dalle gag gestuali. Passando dalla bidimensionalità delle
vignette alla tridimensionalità della scena teatrale, paradossalmente,
Bonaventura diventa ancora più astratto e stilizzato.
Tofano si dimostra un vero mago
della parola (mai lusso, ma lesso, / me lasso!... con l’osso! mai spasso, ma
spesso / mi sposso, mi sposso!...) e un virtuoso della rima (Qui
comincia la sciagura [...]: 26 rime consecutive in –ura, più 4 interne!).
In opposizione a tanti pedagoghi
e a tante (troppe!) poesie didascaliche (come quelle raccolte da Luigi Sailer
ne L’arpa della fanciullezza, che aveva imperversato alla fine
dell’Ottocento), Tofano rivendica il carattere di puro divertimento del suo
teatro: il vero addestramento alla vita è il gioco: [...] per carità, niente
quadretto familiare, niente bozzetto patriottico, niente oleografie
patetico-sentimentali [...] E soprattutto nessuna preoccupazione moraleggiante
ed educativa. Capita così di rado che i bambini si possano portare a teatro:
quelle poche volte che capita, facciamoli ridere, poveri piccoli: e non stiamo
lì col fucile puntato della morale, della religione, dell’amor patrio,
dell’educazione, per conficcar loro in testa una volta di più quello che
possono e devono imparare a casa dai genitori, a scuola dai maestri, al
catechismo dal parroco. Facciamoli ridere, vivaddio, a teatro: ché ogni loro
risata accenderà un raggio in più di felicità nella loro esistenza,
predisponendoli così all’ottimismo e risvegliando in essi il senso della bontà:
più benefica quindi dei predicozzi, dei pistolotti e, soprattutto, della
retorica.
Ridere con
qualunque mezzo, purché, s’intende, di buon gusto: [...] quella del buon gusto,
deve essere la nota dominante in un teatro per bambini. Essi, d’accordo, non
sapranno capirla né apprezzarla al punto giusto, ma inconsciamente la
sentiranno e l’assorbiranno, e inconsciamente educheranno così il loro senso
estetico al gusto del bello. Chi sa che per tale via non si arrivi a guarire un
giorno quello che è il vizio capitale in tutto il nostro teatro per piccoli e
per grandi: la mancanza, nel pubblico, negli autori, negli attori, di un po’ di
buon gusto!
(Scenario, maggio
1937)
Sergio Tofano muore il 28 ottobre
1973; esattamente 56 anni prima, il 28 ottobre 1917, sul n. 43 del Corriere
dei piccoli era nato il signor Bonaventura.
Finalmente la scrittura
sul signor Bonaventura
per finire tosto sto:
posto il testo e sosto, Sto.
LETTURE CONSIGLIATE
Sergio Tofano ha scritto anche racconti; qui si indica una
scelta delle opere in rima.
- Sto, Novantanove storie del signor Bonaventura,
Milano, Garzanti, 1964.
Antologia delle tavole a colori
del Corriere dei Piccoli. Ormai fuori commercio, è reperibile sul
mercato antiquario.
- Sergio Tofano, Il teatro di Bonaventura, Milano,
Adelphi, 1986.
Contiene le
6 commedie musicali dedicate a Bonaventura.
- Sto, Storie di cantastorie, Milano, Adelphi, 1991,
2008.
Storie
raccontate sotto forma di filastrocca.
SITI INTERNET
Sito molto bello, ricco di
immagini e di informazioni (utilizzate per preparare questo post), curato dal
figlio Gilberto.
Bell’articolo
– e molto informato – di Ferruccio
Giromini.
Il ritratto di Sergio Tofano
viene da una cartolina, presumibilmente degli anni ’20, conservata presso il
Museo Franco Fossati:
http://www.lfb.it/fff/fumetto/aut/s/sto.htm
TI È PIACIUTO?
Condividilo con gli amici usando i tasti sottostanti e
soprattutto consigliandolo con Google +1 (tasto g +1).
HAI QUALCHE OSSERVAZIONE DA FARE?
Un tuo commento sarà molto gradito.
Complimenti! Davvero un'idea divertente... E bella da leggere.
RispondiEliminaFrancesca
E questo è solo l'inizio: passa di qua ogni tanto, e vedrai...
EliminaIn attesa resto, in attesa Sto.
EliminaComplimenti, Sto - nato:)
RispondiEliminaMa non "nato Sto", ohibò! Tra i "rimaioli" Sergio Tofano è quello per cui sento più affinità. Il titolo della mia FILASTROCCA DEI VERSI DIVERSI (E DEI VERBI CHE DEVON SAPERSI)(ne "Il corvo con la cra-cravatta") è un omaggio alla sua FILASTROCCA DEI CENTO ANIMALI (DELLE ORECCHIE STURATE I CANALI).
Elimina