Quintus Serenus
LIBER MEDICINALIS
Manoscritto della seconda metà del XIII secolo, Canterbury
(British Library, Londra; Royal MS 12 E XXIII)
I FATTI
La prima attestazione di abracadabra risale al Quinti Sereni Liber (Medicinalis): Il Libro (di Medicina) di Quinto Sereno – o Serenio? Gli studiosi non sono d’accordo –, databile tra la fine del II e l’inizio del IV secolo d. C.:
LI. Hemitritaeo depellendo.
Mortiferum magis est quod Graecis hemitritaeos
vulgatur verbis; hoc nostra dicere lingua
non potuere ulli, puto, nec volvere parentes.
Inscribes chartae quod dicitur abracadabra
saepius et subter repetes, sed detrahe summam
et magis atque magis desint elementa figuris
singula, quae semper rapies, et cetera figes,
donec in angustum redigatur littera conum:
his lino nexis collum redimire memento.
Così lo traduce Cesare Ruffato:
Terapia della febbre semiterzana
Più infausta è la febbre dal nome greco
hemitritaeos, che si crede priva di termine
proprio nella nostra lingua e non lo vollero
i nostri padri. Si scriva su un foglio
il detto abracadabra, lo si ripeta assai
sovente e muovendo in basso si detragga
di volta in volta per ogni riga, senza
omissioni, la lettera finale riscrivendo
le restanti fino a risultare una unica
lettera terminale in figura verbale
a cono acuto: memento di appendere
il foglio al collo con un filo di lino.
Così appariva la scritta:
La progressiva riduzione della parola, evidentemente, avrebbe propiziato la riduzione della malattia, fino alla sua sparizione.
Dell’autore non sappiamo NULLA: come avete visto, c’è incertezza perfino sul nome (perché Sereni potrebbe essere il genitivo sia di Serenus che di Serenius); forse era figlio dell’erudito Quinto Sereno Sammonico.
Che dire? Cominciamo bene!
LE IPOTESI
Le ipotesi sul significato di abracadabra sono innumerevoli. Una puntuale ricognizione la trovate, miei diletti, nel saggio Abracadabra di Paolo Martino (Roma, Editrice “Il Calamo”, 1998. Ed è su questo documentatissimo saggio che si basa l’ossatura del mio post.
Un documento decisivo per trovare la chiave interpretativa di abracadabra è l’iscrizione su una gemma tardoantica di ematite (Collezione Guillaume Poche, Aleppo), che potremmo considerare la più antica attestazione di abracadabra… se non ci fosse un errore di stumpa! È stata pubblicata da René Mouterde in Le Glaive de Dardanos – Objets et inscriptions magiques de Syrie, pagg. 83-85 (Beirut, Imprimerie Catholique, 1930). Traslitterando dall’alfabeto greco a quello latino, nelle due prime righe leggiamo:
ABRA
KADABA
Dove, scrive Martino, Nella seconda linea sarà da restituire la lettera Ρ. (Non è la nostra P: è la rho dell’alfabeto greco, corrispondente alla R dell’alfabeto latino.)
Che dire? Continuiamo bene!
Superato lo sconcerto per l’imperfetta (?) redazione del testo, resta comunque un fatto importante: la ricerca si deve focalizzare sulla cultura di lingua greca.
Notiamo che la formula è divisa in due: per motivi di spazio, certo, ma potrebbe esserci anche un altro motivo: abra infatti è la grafia bizantina della parola greca aura, generalmente pronunciata avra; in seguito i Latini la leggeranno e pronunceranno senz’altro abra. L’aura è una brezza fredda e dannosa per la salute; ma il termine assume anche significati metaforici. Scrive Paolo Martino: Secondo credenze assai diffuse a livello popolare nel mondo greco-romano dei primi secoli dell’era volgare, attestate nella letteratura cristiana antica e medievale […], le malattie che affliggono l’umanità si devono all’azione di spiriti maligni, demoni che hanno una certa essenza corporea della consistenza di un soffio d’aria leggero.
Per scacciare l’abra malefica si fa uno scongiuro: apokrismòs katà tès àbras (scongiuro contro l’abra), dove katà regge il genitivo singolare e ha significato avversativo. Ma siccome, come le disgrazie, le àbrai non vengono mai da sole, è opportuno moltiplicare gli scongiuri: apokrismòs katà tàs àbras (scongiuro contro le singole abra, prese una dopo l’altra), dove katà regge l’accusativo plurale e ha significato distributivo. Si arriva così alla formula abra kat’àbran (abra dopo abra), dove katà assume il significato di “dopo” e regge l’accusativo singolare.
Uff! Ci siete? Cosa dite: troppo complicato? Non si capisce niente? Tranquilli, riducendo all’essenziale, il senso di tutto il discorso è questo: si facevano scongiuri contro le singole àbrai: abra kat’àbran (abra dopo abra).
Col tempo questa espressione, in ambiente latino, si trasforma in una parola unica: abracadabra; una parola di cui non si comprende più il significato originario, ma alla quale si continua ad attribuire poteri taumaturgici, inscrivendola negli amuleti.
Amuleti che continueranno a essere usati, almeno nella cultura popolare contadina, fino a pochi decenni fa. Carlo Levi, mandato al confino a Grassano (MT) nel biennio 1935-36, rileva infatti: La magia popolare cura un po’ tutte le malattie; e, quasi sempre, per la sola virtù di formule e di incantesimi. Ve ne sono di particolari, specifiche per un male determinato, e di generiche. Alcune sono, a quel che credo, di origine locale; altre appartengono al corpus classico dei formulari magici, capitate quaggiù chissà quando e chissà per che vie. Di questi amuleti classici, il più comune era l’abracadabra. Visitando i malati, mi accadeva molto spesso di vedere, in generale appeso al collo con una cordicella, un fogliolino di carta, o una piccola piastrina di metallo, con su scritta, o incisa, la formula triangolare:
Intanto però, all’insaputa dei contadini, abracadabra aveva assunto il significato più generico di formula magica, entrando nel lessico dei prestigiatori.
APPENDICE 1: RIMEDI ALTERNATIVI
Oltre all’amuleto di abracadabra, Quinto Sereno suggerisce un paio di rimedi alternativi.
Il primo è diventato, purtroppo, di assai difficile reperibilità; mala tempora currunt, e le cacce agli animali feroci nel Colosseo non si fanno più:
Nonnulli memorant adipem prodesse leonis.
Nella traduzione di Cesare Ruffato:
Alcuni sostengono l’efficacia del grasso di leone.
Il secondo rimedio lo cerchereste invano in farmacia: bisogna andare in gioielleria, e per questo, temo, il Servizio Sanitario Nazionale non vi rimborserà le spese:
Coralium vero si cocco nectere velis
nec dubites illi veros miscere smaragdos,
adsit baca teres niveo pretiosa colore:
talia languentis conducent vincula collo
letalesque abiget miranda potentia morbos.
Nella traduzione di Cesare Ruffato:
Se si vuole portare una collana
di corallo, va vivacizzata con veri
smeraldi e con una perla rotonda
preziosa per il suo niveo candore:
questo gioiello al collo del paziente
allontanerà con potere stupefacente
l’infausta patologia.
APPENDICE 2: L’ESORCISMO DI SAN GREGORIO
Per vostra edificazione, vi trascrivo i nomi degli spiriti maligni (àbrai) elencati nell’Esorcismo di san Gregorio scritto nel 1153 (Cod. Euch. Sinait, n. 973, monastero del monte Sinai): abra maschio, femmina, dell’acqua, del sangue, della percossa, della casa, della musica, della cottura, del cancro, dello spergiuro, del giuramento, insonne, cieco, sordo, impotente, disobbediente, della statua, demone del mezzogiorno, freddo della febbre, della tintura aderente (?), della testa, della bestia feroce, dell’aspide, del basilisco, della frenesia, del sangue, del fuoco che crepita, del pallore, della fossa (?), della vigna, della pietra nera, della terra del fuoco, dei marmi, dell’incontro, della visita, del serpente, della sorgente, del torrente, del fiume, dei mari, dell’oceano (?), del demone di mezzogiorno [ripetuto], della strada, delle sette strade, delle otto strade, della percossa, della testa [ripetuto], della maledizione, che manda (pericoli), del tesoro, della terra, del cielo, del sole, della luna, che procede dagli uomini, che procede dalle vigne, che procede dagli atti impuri, che agisce per settantasette generazioni e mezza.
LETTURE CONSIGLIATE E RISORSE INTERNET
Quintus Seren(i)us, Liber Medicinalis.
Tradotto in italiano da Cesare Ruffato lo trovate qui (clic)
Paolo Martino, Abracadabra, Roma, Editrice “Il Calamo”, 1998.
Studio fondamentale, reperibile in internet qui (clic) o, con maggiore qualità ma previo login, qui (clic). Martino svolge un’indagine serrata e approfondita (107 pagine!) sul contesto e sui documenti che avvalorano la sua proposta etimologica. Il testo è raccomandato anche per l’analisi puntuale delle varie ipotesi formulate nel tempo dagli studiosi.
René Mouterde in Le Glaive de Dardanos – Objets et inscriptions magiques de Syrie, (Beirut, Imprimerie Catholique, 1930); il testo è reperibile qui (clic).
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